La concezione della donna in Edith Stein

Edith Stein è stata una delle figure più rappresentative nel panorama filosofico tedesco del primo Novecento.  Di carattere tenace, ha fatto scelte di vita radicali portate avanti con coerenza.

Ha vissuto pienamente la vita del suo tempo come filosofa, formata alla scuola fenomenologica di Edmund Husserl e attiva nel dibattito culturale dell’Università di Gottinga; come insegnante e conferenziera, attiva non solo in Germania; come ebrea convertita al cattolicesimo, abbracciato con profonda convinzione e vissuto nella più totale dedizione; come donna ebrea che ha subito sulla propria pelle la persecuzione nazista contro la sua gente.  

Nata a Breslavia nel 1891 da una famiglia ebrea, ultima di 7 figli, Edith Stein era una ragazza di temperamento schivo e riflessivo, che riusciva a cogliere gli aspetti essenziali della realtà, al di là delle apparenze. A causa della sua aria riservata, veniva definita “chiusa” dai suoi conoscenti.

Compì gli studi universitari prima a Breslavia poi a Gottinga, dove rimase dal 1911 al 1914; qui divenne allieva di Husserl e si appassionò al pensiero fenomenologico del maestro, rimanendone fortemente influenzata. Per lei la fenomenologia, che considerava la sua “lingua materna filosofica”, non era una semplice teoria, ma il modo per conoscere il mondo, osservando i fenomeni (le cose, le situazioni, le idee, le persone) “con un atteggiamento  conoscitivo semplice, sottomesso all’oggetto e perciò umile”, senza pregiudizi e aperto alle intuizioni nuove.    

Dopo la parentesi di “ausiliaria” della Croce Rossa in servizio per un anno in un ospedale dove si curavano i feriti di guerra (per il quale alla fine della guerra fu insignita della Medaglia del Coraggio della Croce Rossa), ritornò a Gottinga e riprese gli studi, laureandosi l’anno successivo. Dopo la laurea e la pubblicazione della tesi “Il problema dell’empatia” diventò assistente di Husserl, di cui riordinò alcuni manoscritti pubblicati come secondo volume delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica.

Il termine “fenomenologia” era stato  usato per la prima volta da Johann Heinrich Lambert (Nuovo Organo 1769) con lo scopo di scoprire le cause soggettive e oggettive del carattere illusorio dei fenomeni sensibili (poi da Kant, nell’ Estetica trascendentale, e da Hegel nella  Fenomenologia dello Spirito). Husserl riprende il concetto in polemica con psicologisti e logicisti, e sostiene che i concetti e le leggi devono essere chiari e distinti, che hanno origine dall’esperienza vissuta della coscienza (erlebnis) senza implicazioni ideali, ma sono universali. Si tratta di un “ritorno alle cose” in quanto i fenomeni non sono mere apparenze della kantiana cosa in sé, bensì manifestazioni originarie della realtà nella coscienza. Alla luce di questa prospettiva Edith esamina tutti gli ambiti di cuim si occupa.

 A Gottinga entrò in contatto con un gruppo di intellettuali  che avevano formato un circolo fenomenologico, anche se non  tutti erano completamente d’accordo con le idee del maestro. Di questo gruppo facevano parte Adolf Reinach e la moglie Anna, Herwig Conrad-Martius (ai quali rimase  sempre legata da amicizia), Dietrich von Hildebrand, e più tardi Max Scheler. In questo cenacolo filosofico si discuteva anche di religione, cercando di approfondire il mistero di Dio e il rapporto fra ebraismo e cristianesimo. Alcuni studiosi di origine ebrea  si convertirono al cristianasimo: Alexander Koyré e i Reinach al protestantesimo, Scheler, Hildebrand e Sigfried Hamburger al cattolicesimo.

 In questo clima Edith fu portata a riflettere sul messaggio evangelico, ma in una prospettiva più intellettuale che spirituale; del resto già a 15 anni si era allontanata dall’ebraismo, dichiarandosi atea, sebbene continuasse a frequentare la sinagoga con la madre, cui era molto legata. La morte di Arnold Reinach, di cui fu chiamata a riordinare gli scritti, l’avvicinò al cristianesimo specialmente quando vide la serenità con cui Anna Reinach affrontava il dolore per la morte del marito.

Edith continuò ad approfondire i problemi religiosi  attraverso la lettura di testi come gli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola e l’autobiografia di S. Tersa d’Avila;  rimanendo profondamente attratta dalla spiritualità della santa mistica, tanto che  maturò la decisione di convertirsi al cattolicesimo. Si avvicinò poi alla teologia di Tommaso d’Aquino, cogliendo un rapporto tra il tomismo e la fenomenologia.

 Dopo la laurea le venne negato l’accesso alla cattedra universitaria  (1919) sia perché le donne non erano accettate come docenti universitarie, sia perché il suo maestro Husserl le preferì Heidegger. Intanto continuava il suo interiore percorso religioso che la portò alla conversione nel 1921 e al battesimo cattolico l’anno seguente.

La conversione non le fece, però, rinnegare le sue radici ebraiche, anzi rafforzò il suo senso di appartenenza, in particolare di fronte alle persecuzioni attuate contro gli ebrei dal regime nazista. Dal 1922 al 1931 lavorò come educatrice presso le carmelitane di Speyer (Spira), dimostrandosi educatrice attenta e di profonda spiritualità,  e nel 1932 per un  anno  nell’Istituto pedagogico dell’università di Münster. In questi anni svolse una intensa attività di conferenziera, dedicandosi all’approfondimento della formazione e della vocazione  femminile; le sue riflessioni su questi argomenti erano spesso l’oggetto delle sue conferenze.

  Già prima della conversione, Stein era attratta da ideali etici e di impegno sociale, tanto che nel ’15 era entrata a far parte della “Lega prussiana del diritto di voto alle donne”; ma la sua riflessione non coincide esattamente con quella delle “femministe”, poiché è sempre inserita  in una prospettiva più ampia (nella prospettiva cristiana).

Ricordiamo che la dignità della donna fino all’800 non era riconosciuta; è vero che la dottrina cristiana  riconosce che tutti i figli di Dio sono uguali,  ma solo in teoria, perché nei fatti le donne erano discriminate anche in ambito religioso. Perciò Edith apprezza i movimenti femminili, ma si rivolge in particolare ai movimenti femminili cattolici dediti all’insegnamento, che le sembrano i meno aperti a riconoscere la dignità e i diritti della donna.

Il tema della donna è legato al tentativo di costruire una filosofia della persona, per questo Stein vuole stabilire come si colloca l’essere femminile nel quadro generale dell’essere umano.  La sua visione è completa e complessa e vi confluiscono diversi elementi: la formazione fenomenologica, i pensatori cattolici, la filosofia del profondo e il pensiero filosofico del periodo. La concezione steiniana dell’essere umano non può essere data solo dalla filosofia o dalle scienze umane, ma secondo lei è necessario il ricorso alla fede e alla teologia. Ella propone una visione della donna in tutta la complessità e specificità del suo essere: la donna non è né una copia dell’uomo, né un essere assolutamente diverso, che si può discriminare e rendere subalterno.

Secondo Stein vi è una unità specifica dell’essere umano, che si manifesta in modo diverso e peculiare nell’uomo e nella donna. Non si tratta di un discorso astratto in quanto Stein riconosce che ogni essere umano, uomo o donna, è un essere unico e irripetibile, con peculiari valori e capacità, con una vocazione e un compito propri.  La sua concezione centra l’attenzione sulla persona, che ha valore in se stessa, ma l’archetipo della persona è Dio Creatore, che ha fatto l’uomo a sua immagine. 

 Edith riesce a inserirsi del dibattito con quell’equilibrio che sempre la caratterizza. La sua impostazione fenomenologica dimostra che nella realtà l’uomo e la donna sono fisicamente diversi; che la differenza della struttura corporea comporta una differenza anche psicologica. L’unità dell’essere umano si manifesta nell’uomo e nella donna con dei tratti distintivi che li caratterizzano: l’uomo è più attento alle cose (oggetti, professionalità) ed è portato a sottomettersi alle regole che le cose implicano, la donna è più attenta alle persone concrete e alle circostanze personali; nell’uomo l’obbedienza alle cose induce lo sviluppo di una dimensione unilaterale (è preciso e competente ma in un unico senso), la donna tende alla completezza ed è portata a svilupparsi in più direzioni, inoltre è più propensa ad aiutare gli altri a svilupparsi nella loro pienezza. 

 Però, anche se queste caratteristiche sono un dato di fatto, è necessario un percorso educativo affinché le tendenze naturali possano svilupparsi. Secondo la filosofa la vocazione della donna è di essere compagna e madre, sostegno e guida, protettrice e custode all’interno della famiglia; ma tale compito “è possibile solo se si possiede il giusto atteggiamento verso la persona”. Ciò significa che la donna deve essere educata a riconoscere la sua specificità.

Proprio sul piano educativo si pone il problema della degenerazionedelle caratteristiche femminili, che sono “sfigurate” e devono essere recuperate. Questa degenerazione consiste in una serie di atteggiamenti: ricerca con tutti i mezzi della considerazione della propria persona; brama di ammirazione; incapacità a sopportare le critiche, vissute come un attacco personale; competitività con gli altri (per i figli, la casa, la carriera); curiosità unita al pettegolezzo; esclusivismo.

Questo insieme di atteggiamenti “è una corrotta esigenza di pienezza e completezza” che sfocia nella superficialità. “Ma tale superficialità non potrà mai essere segno d’umanità autentica”. Alla domanda “Come si può realizzare una umanità autentica?” Edith risponde : con un “efficace mezzo naturale”, il lavoro, qualsiasi lavoro, che esige di piegarsi alle sue regole oggettive. Nel pensiero steiniano il lavoro è un elemento pedagogico fondamentale, così come è fondamentale il rispetto per il lavoro, sia perché rappresenta un beneficio personale (materiale e psicologico) sia perché consente alle persone di essere membri attivi della società.