Billy Mohler Quartetto euroamericano: Billy Mohler/ contrabbasso, Hermon Mehari/ tromba, Francesco Bigoni/ sax, Nate Wood/ batteria.
Ascoli Piceno – Cotton Lab 11 aprile 2025
Di Billy Mohler già il nome suona bene: è facile, si ricorda, non si confonde, funziona, piace. Oggi, un nome “internazionale” e orecchiabile spesso propizia il successo, lo sanno bene cantanti, attori, scrittori, registi, atleti, pittori, presentatori… (no, politici no, loro bramano voti).
Tanto che chi non ce l’ha, e mentre il suo è davvero pessimo, si auto-ribattezza disinvolto con un paccuto nome d’arte, e via.
Ma qua al Cotton Lab, se quell’americano si chiama proprio BILLY MOHLER e fa il musicista jazz e ci sa fare e gli viene in ogni modo riconosciuto, che il suo sia un bel nome è un optional. Anche se suona il contrabbasso e non la chitarra, il piano, la tromba, la batteria, il clarinetto, il sax alto…
Proprio il contrabbasso classico di legno, invece, quel bestiolone alto 2 metri. [ Altezza del corpo 2,12, fino al riccio 1,92, lunghezza della corda vibrante un metro e dodici… * ]
E non fa TUN TUN – TUN TUN come tanti nelle canzonette, quattro note a rimorchio della batteria, sempre quelle che è pure difficile sbagliarle nè devi saper leggere musica.
[Negli anni ’60 – ’70, al tempo dei “complessi”, al basso (elettrico) ci poteva stare chiunque: imparava facile, senza stress, e tomo-tomo cacchio-cacchio si beccava la sua brava quota (di 4, o di 5), come gli altri. Da noi usava “se vuoi suonare con noi mettiti al basso”. Come a pallone “se vuoi giocare mettiti in porta”: toccava al più scarso o al più somaro, guai se gli passava la palla tra le gambe!].
Fattostà che il contrabbasso è stato quasi sempre considerato uno strumento minore o subalterno. Nelle orchestre di “classica” – che ne hanno anche 4 in fila – lui se ne sta in disparte, o dietro, o là in fondo in solitudine, o sbattuto all’estrema (ala) sinistra dove pare non conti nulla. Mai sotto la luce dei riflettori, quasi mai in evidenza, quasi nessuno che lo guardi, che senta le sue “note profonde e quasi inudibili”. E il direttore che sbava quasi solo per i violini? Quando invece “ è inconcepibile un’orchestra senza il contrabbasso.
Se dunque di BILLY MOHLER già il nome suona bene, figurarsi quando “contrabbassa” nell’ EURO AMERICAN QUARTET dove, mancando (stranamente) il pianoforte – ma proprio non ne sentiamo la mancanza – il “motore” deve farlo lui. Musicista pazzesco, per molti il migliore in circolazione. Metamorfico e ipnotico, quando partendo di pancia con colpi secchi e marziali, bellici e minimalisti, continui e trascinatori, riesce a garantire infinita energia vitale all’esecuzione. Lui, il contrabbasso lo artiglia, o lo accarezza. E l’atmosfera, da potente e adrenalinica, torna cauta, striata, levigata nei dettagli.
Questo anche per l’affiatamento col suo giovane batterista, che riempie rullando oppure asseconda con fantasia, e come sussurrando ricama, sui grandi piatti, inverosimili momenti sospesi. E dei due diversissimi fiati, sassofono e tromba, che sembrando a volte fratelli a volte pensosi randagi dai passi di gatto, declinano divoranti dissonanze e invenzioni di vera grazia, incrociando tra loro sguardi lieti.
E’ jazz controvento, mai jazz antico. E’ jazz euro-americano futuribile, capace di pensiero o impetuoso dalla velocità elettrodomestica. E’ jazz utile, economicamente corroborante, mai scontroso, mai “pericoloso”: Nate Wood, quando d’improvviso ma in velocità “inchioda” la batteria fiondandosi sui due grandi piatti roventi e li blocca simultaneamente con le (quasi rosse) mani e dita simili a due orgogliose pinze-freno BREMBO, ogni suono si immobilizza, sparisce. Che silenzio…
Un quartetto sicuro.
Con un campione di contrabbasso.
* Patrick Süskind – Il contrabbasso , 1980
** ibidem