Europa sì, Europa no

Per non arrendersi come cittadini e come cristiani. Ce la fa l’Europa ad essere quello che deve e cioè quella che
auspicavano i suoi fondatori dopo la guerra, a tutela dei popoli che la compongono e come argine alle esplosioni di nuove guerre?
Vogliamo continuare a crederci, anche se sembrano prevalere coloro che vedono segni evidenti di un crepuscolo, accusano le istituzioni di dominio ideologico neo-socialista, burocraticismo, slittamenti nel woke o nelle destre estreme. I più constatano l’inadeguatezza dei risultati fin qui raggiunti rispetto alle attese suscitate e alle radici culturali e spirituali su cui l’Europa è stata fondata. Non hanno torto quanti, a fronte dei conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese, l’accusano di immobilismo, tenendo in poco conto le ragioni della debolezza della diplomazia e della frammentazione degli Stati. C’è inoltre chi non sopporta più un’Europa dominata dalle ambizioni di protagonismo di Germania e Francia come pure del Regno unito che spingono a combattere e indebolire la Russia.

Ci sarebbe da correre in fretta per riparare alle fragilità di questa Europa specie tenendo conto del nuovo fronte che si apre con l’attacco indiano al Pakistan (del resto prevedibile dopo l’attacco terroristico del 22 aprile scorso in territorio indiano), accusato di atti terroristici e di aver usato missili e droni, e la risposta di Islamabad: “Atto di guerra, risponderemo”.
Inutile girare attorno alla realtà: ce la fa ad essere un soggetto interlocutore valido nel confronto con vecchie e nuove potenze?
L’Europa ha purtroppo bisogno di difendersi e non sembrano bastare la sua cultura, il suo stile di vita, la sua ‘missione’ civilizzatrice. Non è ingenuo credere da pacifisti che non ci saranno più guerre, che gli uomini non ricorreranno più alla sopraffazione delle armi sempre più potenti e che, se anche fosse, l’Europa resterebbe sempre l’isola felice? Certamente
non si può essere soddisfatti del piano di riarmo come sola risposta al nuovo disequilibrio geopolitico, soprattutto perché non c’è ancora una unità politica e visione più adeguata a tenere sotto controllo i sempre possibili conflitti.

Occorre non cadere nella trappola degli antieuropeisti. L’UE ha prodotto oltre mezzo secolo di pace, stabilità e prosperità e svolge ancora un ruolo importante nella diplomazia, senza contare i successi raggiunti nel facilitare la  libertà di movimento, l’accesso a migliori opportunità di lavoro e di istruzione (indubbio il successo dell’Erasmus), la possibilità della doppia nazionalità, i benefici sociali, la protezione consolare all’estero.
Evidentemente tutto ciò non basta. Non svolgono un buon ruolo i sistemi informativi che bombardano 24 ore su 24 i cittadini con notizie complesse e contraddittorie diffuse con linguaggi criptici. I cittadini che si sentono impotenti di fronte alle affermazioni dei capi partito, agli interessi delle nazioni, alla brama senza freno degli oligarchi, alle contrapposizioni
ideologiche, si lasciano andare in balia dell’evanescente liquidità delle cangianti decisioni politiche. I più sono esterrefatti dal constatare di essere governati da protagonisti della scena che si presentano come statisti, beffardamente sicuri della loro posizione, ma che se s’incontrano al bar rimpiccioliscono e sono da evitare.

E che dire della complessità delle notizie che riguardano l’oltre Tevere, concentrate su cardinali rincorsi da un nugolo di giornalisti come fossero delle star, su Papi glorificati e aureolati (Francesco l’avrebbe voluto?) solo dopo la morte e di un conclave rappresentato come fosse l’esito finale di una conflittuale elezione comunale? Che dire di una religiosità esplosiva, deferente e devozionista, di folle che si riaccendono ad ogni morte di papa?
Tra i cittadini alcuni seguono le mode e le emozioni, altri sono diffidenti e inventano dietrologie barzellettistiche, in barba all’esigenza di verità, irritando quanti restano immobili nelle certezze della tradizione o si accontentano dei sogni dei visionari. Quanto alle mode, nella sua Vita di Don Chisciotte, Miguel de Unamuno cita un proverbio spagnolo che
descrive il conformismo:  qualcuno chiede a un tale: «Donde vas Vicente?». Vicente risponde: «Adonde va la gente». E la gente va adonde va Vincente in un circuito di omologazione.

Una convivenza democratica all’altezza degli ideali dei padri fondatori dell’Europa ha bisogno di cittadini e cristiani più maturi, capaci di discernimento e di spirito combattivo per contrastare il ripiegamento individualistico, l’indifferenza fredda di chi si accontenta di rincorrere i bisogni della quotidianità, oppure la sequela delle masse soggiogate dal fascino dei vincenti.

Occorrono cittadini capaci di smascherare i falsi idoli e di continuare caparbiamente a credere nell’efficacia di chi agisce senza apparente potere impegnandosi nei mondi vitali vicini, costruendo relazioni appaganti in famiglia, nel lavoro, nella società che li circonda. E’ possibile, giorno dopo giorno, alimentare piccoli focolai di rispetto e di pace con persone di ogni latitudine, età e fede. Soprattutto è doveroso per i cristiani continuare a credere nel potere senza potere di chi vive il rapporto di amicizia col Cristo e perciò insiste nel costruire il Suo Regno, anche indipendentemente da questo o quel Papa, questo o quel capo religioso o politico di turno. Tutti possono incidere sulla vita di quelli che il caso mette a accanto, coinvolgendoli a costruire un mondo a misura degli ideali migliori che ciascuno porta in sé.

Giulia Paola Di Nicola