L’elezione di Papa Leone XIV ha il sapore di una continuità che si fa rilancio. Dietro questo nome – scelto non a caso – si staglia la figura di Robert Francis Prevost, uomo di Chiesa ma anche di mondo, con una biografia che attraversa continenti, culture e tensioni del nostro tempo. È un papa nordamericano, sì, ma anche profondamente latinoamericano per formazione e spirito; un religioso agostiniano, ma allo stesso tempo un funzionario ecclesiastico di lungo corso. Insomma: un pontefice che nasce dall’incrocio di più identità e che potrebbe segnare un punto di equilibrio tra tradizione e riforma.
Chiamarsi Leone nel XXI secolo non è una scelta neutra. Richiama immediatamente Papa Leone XIII, autore della Rerum Novarum, il testo fondativo della dottrina sociale della Chiesa. In un momento storico in cui le diseguaglianze globali si allargano e la guerra torna a bussare alle porte dell’Europa e del Medio Oriente, evocare quella stagione significa dichiarare la volontà di una Chiesa che parli ancora ai lavoratori, alle famiglie, agli esclusi.
Il primo messaggio del nuovo pontefice dal balcone di San Pietro non ha lasciato dubbi: “Arrivi una pace disarmata e disarmante” ha detto, lasciando intendere un’agenda diplomatica e pastorale segnata dal desiderio di ricostruire ponti là dove la geopolitica continua a innalzare muri.
Classe 1955, nato a Chicago, Prevost è entrato giovanissimo nell’Ordine di Sant’Agostino. Dopo la formazione negli Stati Uniti e in Italia, ha vissuto oltre vent’anni in Perù come missionario, prima di essere nominato vescovo di Chiclayo nel 2015. Non è un dettaglio secondario: la sua lunga esperienza in America Latina lo ha messo in contatto con le periferie sociali ed ecclesiali, ed è lì che ha maturato una sensibilità particolare per i temi della giustizia, dell’inclusione e della dignità delle persone. È anche per questo che Papa Francesco lo ha voluto prima alla guida dei vescovi del mondo e poi tra i suoi cardinali di fiducia.
Nel suo stile – sobrio, diretto, senza esibizioni – si ritrovano molte delle istanze care al predecessore: la centralità della sinodalità, l’attenzione ai poveri, la lotta agli abusi di potere nella Chiesa. Ma c’è anche qualcosa di profondamente suo: un’anima agostiniana, nutrita di interiorità, di ascolto e di discernimento. Non un rivoluzionario, ma certamente un riformatore.
La formazione accademica di Prevost lo colloca in una posizione singolare. Dottorato in diritto canonico all’Angelicum, la sua tesi ha esplorato il ruolo del priore locale all’interno dell’Ordine agostiniano, un tema che già dice molto del suo interesse per una Chiesa guidata dalla corresponsabilità e non dalla gerarchia verticale. La sua visione teologica, per quanto solida, non è mai dottrinale in senso rigido. In una delle sue interviste più note, ha dichiarato: “Spesso ci siamo preoccupati di insegnare la dottrina, ma rischiamo di dimenticare che il nostro primo compito è comunicare la bellezza e la gioia di conoscere Gesù.”
Una frase semplice, ma che dice molto. Il magistero che verrà – se sarà coerente con questo spirito – non sarà quello dei grandi documenti astratti, ma quello della prossimità, dell’umanità, della fedeltà al Vangelo nelle pieghe della vita quotidiana.
Il contesto in cui Leone XIV inizia il suo ministero petrino è tutt’altro che semplice. Da un lato, la Chiesa continua a fare i conti con le ferite degli abusi, con la crisi delle vocazioni e con la disaffezione di ampie fasce di fedeli. Dall’altro, sul piano globale, l’autorità morale della Chiesa è chiamata a pronunciarsi su temi urgenti: guerre, migrazioni, intelligenza artificiale, cambiamento climatico.
Leone XIV sembra esserne consapevole. Il suo pontificato si presenta come una prosecuzione dei cantieri aperti da Francesco, ma con un’attenzione forse maggiore all’organizzazione interna e alla formazione del clero. La sua precedente funzione al Dicastero per i Vescovi lo ha abituato a misurarsi con la macchina ecclesiastica, ma anche con le persone che la guidano: vescovi, parroci, religiosi e religiose. Sarà interessante vedere come userà questo bagaglio nel governo della Chiesa universale.
In un tempo che chiede radicalità ma anche pazienza, visione ma anche radicamento, Papa Leone XIV appare come un uomo dell’equilibrio. Non nel senso del compromesso, ma in quello più agostiniano della concordia ordinum, dell’armonia costruita nel confronto tra diversità.
Non si può prevedere tutto ciò che accadrà nel suo pontificato. Ma se le premesse sono queste – interiorità agostiniana, esperienza pastorale nelle periferie, formazione canonica, fedeltà alla riforma avviata da Francesco – allora si può dire che la Chiesa ha oggi un pastore capace di ascoltare e di guidare. Non da solo, ma insieme al popolo di Dio. Come, forse, Sant’Agostino avrebbe voluto.
A cura di Attilio Danese con il supporto tecnico (rassegna siti) dell’ IA Chatgpt24)
