La scelta del nuovo pontefice di assumere il nome di Leone è apparsa come un chiaro riferimento alla figura e al magistero del precedente omonimo, Leone XIII.
Gioacchino Pecci, eletto nel 1878, con l’enciclica Rerum Novarum ha segnato una svolta nella posizione della Chiesa di fronte al mondo moderno. Con Leone XIII, che iniziò a riflettere intorno alle “cose nuove”, si passò da un atteggiamento di condanna della tecnica moderna e della società (Gregorio XVI, il Sillabo) a una attenta considerazione delle dinamiche sociali del tempo, con particolare riferimento al divario sempre crescente tra l’arricchimento della borghesia industriale e la povertà della classe lavoratrice. Nella seconda metà del secolo XIX la cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”, accanto agli indubbi progressi nell’ambito tecnico-scientifico ed economico, all’innalzamento del tenore di vita e allo sviluppo urbanistico e politico, aveva portato anche gravi problemi sociali. I lavoratori non godevano di alcuna tutela e le loro condizioni di vita erano molto precarie; l’impiego di donne e bambini nelle fabbriche aveva ripercussioni anche sulla struttura della famiglia, travolta dalla necessità di guadagnare il minimo per sopravvivere; questo veniva a pregiudicare la salute, tanto che la vita media non superava i 25-30 anni. Le condizioni dei lavoratori avevano ispirato numerose dottrine politiche, dal socialismo “utopistico” al marxismo, ed erano sorte diverse associazioni operaie e socialiste, che portavano avanti delle rivendicazioni salariali e normative. Di fronte a tale situazione, la Chiesa si sentì sollecitata a prendere posizione sia per dare una risposta agli interrogativi posti dall’evoluzione economica e politica, sia per dare una sua interpretazione alla luce dei principi della dottrina cristiana.
Nel 1891 il papa emanò la Lettera enciclica Rerum novarum, con la quale prendeva atto della questione operaia, enunciando il punto di vista della Chiesa sui problemi del mondo industrializzato. Non si trattava di una posizione rivoluzionaria; la Chiesa cattolica ha insita una vocazione socio-culturale, in quanto il suo messaggio e la sua azione sono rivolti alla guida e al sostegno dell’operare umano in vista della salvezza: i testi evangelici sono alla base di quella che è stata definita la “dottrina sociale della Chiesa”. L’enciclica affrontava i molteplici aspetti della realtà sociale del tempo, con l’intento di individuare la possibilità di un ordine sociale più giusto, alla luce del principio che per attuare un ordine sociale più giusto è necessario stabilire dei criteri di giudizio sulla base dei quali ipotizzare delle linee di sviluppo coerenti con la dignità della persona.
Il documento accoglieva le esigenze del mondo operaio e nello stesso tempo proponeva la pacifica cooperazione capitale-lavoro; forniva indicazioni morali ai credenti per l’azione concreta: ai datori di lavoro consigliava di corrispondere “la giusta mercede” agli operai, mentre riconosceva il diritto naturale alla proprietà privata. Il contrasto con le forze socialiste, unite nella Seconda Internazionale (1889), si basava su tre principi fondamentali: l’affermazione della legge naturale come base dei rapporti politici e sociali; il riconoscimento della proprietà privata; il rifiuto della lotta di classe e del legame tra rivendicazioni sociali e conquista del potere politico.
Il magistero ecclesiastico è ritornato più volte sulle tematiche della società e del lavoro, a prova dell’importanza che questo ambito riveste non solo sul piano civile e politico, ma anche su quello religioso. In ognuno dei documenti successivi viene ribadita la continuità del magistero cattolico, in opposizione al marxismo, ma viene anche condannato il liberalismo individualista, alla base del laicismo moderno.
Nel 1931, per celebrare il quarantesimo anniversario della Rerum novarum, papa Pio XI emanò la Quadragesimo anno, riprendendo e sviluppando i motivi fondamentali dell’enciclica leonina. Ribadì, infatti, la necessità della proprietà privata, ma ne attenuò gli aspetti, sottoponendola all’attività regolatrice dello stato e proclamando la necessità di un’equa redistribuzione della ricchezza e della solidarietà fra le classi; inoltre sostenne i vantaggi delle organizzazioni corporative, fondate in quel periodo, in alternativa alle organizzazioni sindacali.
Con il pontificato di Giovanni XXIII si ha una svolta nella dottrina sociale della Chiesa: se nelle encicliche precedenti il tema dominante era la giustizia sociale, e di conseguenza era privilegiato l’ambito giuridico, con le encicliche giovannee si attua una svolta in senso dottrinale-teologico: le tematiche sociali vengono ricondotte al tema evangelico della carità, in nome della comune filiazione divina. Con la Mater et magistra del 1961, papa Roncalli condannava lo sfruttamento dei deboli e sosteneva la necessità di un’armonica collaborazione fra lo stato e i privati, auspicando la partecipazione dei lavoratori agli utili. Nella Pacem in terris, del 1963, affermava il diritto al lavoro, alla sicurezza sociale, all’istruzione, all’individualità etnica e alla parità sociale.
Ma è la Populorum progressio di Paolo VI il documento basilare della dottrina sociale cristiana nel XIX secolo. In questo documento il pontefice affrontava i problemi della contemporaneità alla luce de messaggio cristiano e dei principi della teologia cattolica. Secondo papa Montini la missione della Chiesa è annunciare la Buona Novella e testimoniare la Verità in vista della salvezza, per questo deve saper cogliere i segni dei tempi e aiutare gli uomini nella loro crescita umana. L’enciclica si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, ai governanti, agli uomini di cultura, a coloro che sono impegnati in qualunque modo nella vita sociale e ai giovani. Il documento indica le condizioni della giustizia sociale; afferma la dimensione ecumenica della dottrina sociale della Chiesa; affronta i problemi relativi allo sviluppo dei popoli, alle loro aspirazioni e ai loro bisogni; critica il liberalismo sfrenato, che ha portato allo sfruttamento imperialistico e il concetto di progresso basato solo sul profitto, mentre ribadisce il diritto naturale alla proprietà privata. La visione dell’enciclica paolina ha una impostazione fortemente personalista: l’uomo è un essere concreto, la cui esistenza si attua come persona, creatura spirituale dotata di intelligenza e volontà, che realizza pienamente se stesso nella libertà. La persona persegue il proprio fine quando attraverso le sue scelte fa crescere l’umanità dell’uomo, incrementa il suo essere, lo avvicina al creato e al Creatore; in tal modo il valore morale si identifica con la scelta del bene e la ricerca della verità.
Nel ventesimo anniversario della Populorum progressio la Pontificia Commissione Iustitia et Pax ne promuove una solenne commemorazione attraverso l’emanazione di una nuova enciclica, la Sollicitudo rei socialis. In questa Lettera, Giovanni Paolo II sottolinea la presenza di un corpus dottrinale della Chiesa in campo sociale, costituitosi a partire dalla Rerum Novarum, e nello stesso tempo mette in luce l’importanza e la novità dell’enciclica di Paolo VI. Richiamandosi allo “storico documento”, il papa rivendica “la continuità della dottrina sociale ed insieme il suo costante rinnovamento” mentre ribadisce “il perenne valore dell’insegnamento della Chiesa”. Le basi dottrinali della nuova enciclica sono individuate nel messaggio evangelico, nella dottrina sociale costituita mediante le precedenti encicliche, nelle deliberazioni nel Concilio.
Viene poi affermato l’obbligo per gli individui, le Nazioni, la Chiesa cattolica e le altre comunità ecclesiali, “di impegnarsi per lo sviluppo dei popoli”, intraprendendo tutte le iniziative possibili volte la miglioramento economico, al progresso culturale dei popoli in via di sviluppo, al riconoscimento e al rispetto dei diritti umani. Il dovere di solidarietà si deve basare sulla carità, che aiuta a vedere l’altro come nostro simile, fratello in Cristo. La tradizionale condanna del capitalismo e imperialismo delle grandi potenze nonché del consumismo,visto come “struttura di peccato”, accanto al rifiuto del collettivismo di stampo marxista, sembrava collocare la posizione cattolica come una sorta di terza via fra le due posizioni; in realtà nel capitolo sulla lettura teologica dei problemi moderni, troviamo, invece, l’affermazione che la dottrina sociale della Chiesa non è una “terza via” fra capitalismo e collettivismo marxista, ma “una categoria a sé”. Compito della Chiesa è interpretare la realtà e orientare il comportamento cristiano secondo i principi del Vangelo; la sua missione evangelizzatrice la porta a denunciare i mali e le ingiustizie e a reclamare un impegno di solidarietà e giustizia, a prescindere da qualsiasi ideologia. L’enciclica si chiude con un richiamo al rispetto della dignità della persona ”immagine di Dio creatore” e identica in ciascuno, e con la sollecitazione rivolta a religiosi e laici di realizzare “un’era di eguaglianza e di pace”, alla luce dell’appello di Paolo VI, che legava la soluzione del problema sociale al raggiungimento della pace, poiché, per la Chiesa, non può esservi pace senza giustizia.