Elettra di Sofocle

Elettra di Sofocle

Dal tramonto dell’epica al problema etico nella tragedia

Per capire l’Elettra di Sofocle, tragedia di straordinaria complessità e purissima poesia, bisogna partire da lontano, dal tempo dell’epica.
Il mito degli Atridi è paradigmatico per seguire lo sviluppo del pensiero greco nel passaggio dall’epica alla tragedia. L’uomo in Omero vive in perfetta simbiosi col Dio, da cui riceve chiari segnali sul modo di condurre la sua vita. Nessun dubbio né smarrimento, il divino è approdo sicuro e stabile e la sua presenza garantisce l’ordine dell’Universo.
Tra il sesto e il quinto secolo a.C. questo mondo si sgretola, i protagonisti della tragedia sono uomini che si dibattono tra affermazione della propria volontà e costrizione. Gli antichi miti elaborati dall’epica sono il bacino di raccolta di un patrimonio sapienziale a cui ai poeti tragici hanno attinto per rappresentare la condizione umana del loro tempo e proiettarla nella dimensione universale dell’arte.
Non è solo la volontà imperscrutabile del Dio a inchiodare gli eroi tragici in uno stato di perenne impotenza, costretti ad ubbidire a ordini superiori. Ci sono anche forze oscure che nascono dal profondo, pulsioni incontenibili dell’Io, ostacoli che provengono dal contesto sociale, c’è la morte e ci sono le leggi di natura.
Eppure questa terribile condizione non porta al nichilismo, alla bestemmia contro il destino o il Dio.
Solo in Euripide la cupa disperazione prende a tratti il sopravvento, ma neanche in lui si arriva alla negazione della presenza del divino nella vita dell’uomo.
La grande lezione della tragedia greca è proprio in questa affermazione dell’uomo che, debole e cieco, lotta fino alla fine e non arretra mai davanti alla necessità di scegliere e agire.
La strada da intraprendere è comunque frutto di una decisione dolorosa, fonte di aporie irrisolvibili, e il poeta affida a lunghe réseis (monologhi) o al ritmo serrato del dialogo fra due personaggi (sticomitìe), il compito di evidenziare la problematicità etica e la dialettica teologico-morale sottese alla vicenda.
Per capire leggiamo uno dei dialoghi fra Oreste ed Elettra tratto da Euripide:
Euripide Elettra 969
OR – Come posso ucciderla [Clitemestra], lei che mi ha messo al mondo e nutrito ?
EL – Come lei ha ucciso il padre tuo e mio […]Che danno ne avrai a vendicare tuo padre ?
OR – Sarò accusato come matricida, ed ero puro.
EL – E se non difendi tuo padre sarai un empio.
OR – Lo so. Ma non pagherò la pena per l’assassinio di mia madre?
EL – E se rinunci a vendicare tuo padre?
La risposta non c’è, restano le domande irrisolte, ma l’azione procede, mai l’eroe tragico si ferma nella irresolutezza, nel dubbio. Resta nei fatti la legge di dolore che contraddistingue il genere umano, spesso incomprensibile ma sola capace di sollevare l’uomo dalla sua abiezione. L’uomo tragico è consapevole del suo impegno vitale, ma anche della legge di necessità a cui non può sottrarsi.
Quale sia la sua scelta, essa è comunque dolorosa, non lo porta alla salvezza, bensì alla sofferenza. La sua grandezza è nell’ accettazione di questa condizione.

Citiamo un passo critico che spiega con chiarezza il punto:
Nell’azione drammatica gli dèi intervengono, in modo anche crudele, sia per punire una colpa, sia anche senza una ragione apparente. Sofocle non ritocca pesantemente il mito, non lo analizza, non lo discute: sa che se gli dèi nascondono le cose divine, non si può conoscerle neanche cercando ed investigando per ogni dove. L’eroe sofocleo è, per così dire, rassegnato, e mentre in Eschilo la trilogia legata faceva in modo che si giungesse, nella terza parte, ad una sintesi, ad un compromesso (come l’istituzione dell’Areopago nelle Eumenidi), i patimenti di cui i personaggi sofoclei restano vittime non si traducono in alcuna acquisizione per la collettività: da essi non emergono leggi più giuste, istituzioni più umane, convivenza più equilibrate. Si tratta semplicemente di una serie di sconfitte dell’individuo schiacciato da forze incomprensibili”. (da U. Albini, Nel nome di Dioniso. Vita teatrale nell’Atene classica)

PROTAGONISTI

ELETTRA nella tragedia attica
In Eschilo, il più antico dei tre tragici, Elettra è protagonista con Oreste delle Coefore, seconda tragedia della trilogia composta da Agamennone, Coefore, Eumenidi.
L’Elettra di Sofocle e quella di Euripide sono quasi contemporanee, composte sul finire del V sec. Il mondo omerico non conosce l’eroina, che comincia ad apparire in età successive con sempre maggior rilievo in Stesicoro e Pindaro.
ELETTRA personaggio tragico
Nei tragici la donna assume una centralità sempre maggiore. Il mito di Elettra è tra i più suggestivi e importanti del mondo greco e un caso felice ha voluto che fosse presente, dunque confrontabile, in tutti e tre i tragici.
Elettra vive da anni ai margini del Palazzo trattata come una schiava, questa sua condizione è sottolineata soprattutto in Sofocle. Clitemestra, la madre, ed Egisto, suo amante, la temono e la odiano, la sua presenza è inquietante perché sentono che è la loro irriducibile nemica e stanno per mettere in atto un piano che l’allontanerà per sempre dal Palazzo. E’ Crisotemi, la sorella, a rivelarle il piano criminoso.
Se l’Elettra di Eschilo è una donna delicata, smarrita, bisognosa di consiglio e protezione che rientrerà nell’ombra dopo l’uccisione della madre perché chi giganteggia nelle Coefore è Oreste, in Sofocle è unica e assoluta protagonista, gli altri personaggi sono meteore che girano intorno a lei che tiene la scena dall’inizio alla fine.
Nulla può arrestarla e nulla teme. Dotata di forza eroica, non arretra di fronte a nessuna minaccia e si tiene in vita con l’odio e la speranza del ritorno di Oreste. E’ una donna isolata, dalla morte del padre ha solo nemici intorno o figure incapaci di condividere il suo dramma. La sorella Crisotemi è pavida, incline a scendere a compromessi con i potenti per quieto vivere. Di Oreste non si sa nulla da quasi dieci anni. Elettra non è interprete di nessun ordine di Apollo. Obbedisce ad una insopprimibile sete di giustizia ed è la vera vincitrice dell’agone tragico. Le sue sofferenze fisiche e spirituali sono il
centro del dramma di cui il matricidio è la cornice. Come i più grandi eroi sofoclei, Aiace, Edipo, Antigone, Filottete, è una lottatrice contro il mondo avverso. Fedele alla sua missione di sentinella di giustizia, non ha esitato a sacrificare tutta sé stessa, condannandosi ad una vita miserabile. Esce tragica vincitrice nella lotta, la fedeltà alla stirpe e l’amore per i suoi cari sono il suo trofeo.

ORESTE
E’ lo strumento del Dio, a differenza di Elettra che agisce spinta dalla sua sola sete di giustizia. E’ comunque determinato e senza tentennamenti nel compimento della sua azione, ma non essendo vissuto nel Palazzo non ha condiviso lo strazio della sorella. Aderisce al dovere di vendicare il padre ma non ha la tragica passionalità di Elettra. Con l’uccisione della madre adempie ad un obbligo religioso e di rispetto della stirpe, il legame fraterno è la manifestazione più autentica della
sua umanità. La madre per lui è un’estranea e, soprattutto, l’assassina del padre. La scena dell’uccisione è quasi asettica, priva di pathos, un’esecuzione ordinata dal Dio e condivisa dagli uomini che solo la tensione di Elettra contribuisce ad animare.

CLITEMESTRA
Clitemestra si caratterizza subito come madre e moglie indegna: le parole di condanna di Elettra, ossessivamente ripetute, il sogno (cit. versi), la sua gioia di fronte alla (falsa) notizia della morte di Oreste, tutto collabora a definirne il profilo morale.

LETTURA DEL TESTO (parti scelte)

SEZIONI
Prologo 1-86 – Monodia di Elettra 87- 120
Parodo commatica 121-255
I Episodio 256-471
I Stasimo 472-515
II episodio 516-822
Commo 823-870 (in luogo del secondo stasimo)
III Episodio 871-1057
III Stasimo 1058- 1097
IV Episodio 1098-1383
IV Stasimo 1384-1397
Commo – Esodo 1398-1510


PERSONAGGI
Protagonista Elettra
Deuteragonisti Oreste – Clitemestra
Tritagonisti Pedagogo – Crisotemi – Egisto
Coro 15 donne libere di Micene
Personaggi muti Pilade – una schiava di Clitemestra – due servi di Oreste
Scenario Acropoli di Micene davanti al palazzo dei Pelopidi
Sinossi
Oreste, figlio di Agamennone, in compagnia di Pilade e del Pedagogo, torna a Micene dopo un’assenza di quasi dieci anni. Su ordine di Apollo deve vendicare la morte del padre, ucciso dalla moglie Clitemestra e dal suo amante Egisto per usurparne il trono. Da bambino, essendo erede al trono, era stato salvato da sicura morte dalla sorella Elettra. Questa infatti l’aveva affidato ad un uomo della Focide che lo aveva tenuto lontano dagli intrighi di palazzo. Da quel giorno Elettra, che prova un odio profondo (e ricambiato) verso i due assassini, è vissuta nella speranza che Oreste un giorno torni a vendicare il padre.
Oreste torna a Micene all’insaputa di tutti e organizza un tranello: diffonde la falsa notizia della propria morte, che gli permette di constatare la gioia (e quindi la malvagità) della madre Clitemestra.
Elettra, al contrario, si dispera, dimostrando il suo immutato affetto per il fratello. Ottenuta la prova della fedeltà della sorella, Oreste le rivela la propria identità, ed insieme organizzano un piano per attuare la vendetta. Oreste penetra nel palazzo e uccide senza pietà la madre supplicante, poi incontra Egisto e lo uccide portando a completo compimento la vendetta per la morte del padre.

Impostazione della tragedia

Del matricidio, che avverrà nel finale, avvertiamo l’imminenza fin dai primi versi nell’atmosfera di orrore che crea una climax culminante nell’uccisione di Clitemestra.
Prologo
Nel prologo e nella parodo commatica, che segna l’ingresso del coro dialogante con Elettra, si riassumono tutti i drammatici eventi che hanno portato la situazione al punto in cui è adesso. S’impone il personaggio di Elettra e la pietà del Coro sgorga profonda dalle donne di Micene che conoscono il suo dolore. Elettra è una donna sola, stanca, abbandonata e tradita. Si delinea il leit motiv di tutto il dramma, il ricordo del nobile padre ingiustamente ucciso e la sua sete inesausta di giustizia.
E’ l’alba e appaiono per primi Oreste e il Pedagogo, poi entrerà Elettra di cui si ode il lamento provenire dall’interno. I due uomini sono usciti di scena perché il loro arrivo dev’essere segreto. Hanno elaborato il piano dell’inganno e Oreste si è rivolto agli Dei indigeni, alla casa paterna e alla terra in cui è nato perché siano favorevoli alla sua impresa. Il grido di dolore di Elettra esplode al suo ingresso in una dolorosa monodia a cui fa seguito la parodo commatica con l’ingresso del coro.
I versi 1-255 sono tra i più belli e significativi della tragedia, una lettura integrale aiuta ad entrare nel vivo dell’agone tragico.

Monodia di Elettra
O fulgida luce,
o aria che cingi la terra,
deh, quanti miei carmi di dolore
udiste, e sul seno sanguineo
le fitte percosse, nell’ora
che il buio notturno si sperde!
E il letto odïoso del tristo
palazzo sa bene le mie veglie
ch’io, misera, piango mio padre,
a cui non fu ospite Marte
cruento, su estranea terra:
a lui mia madre, il suo drudo
Egisto, la testa fenderono
con la scure sanguinea, come
boscaioli una quercia; e nessuno,
tranne me, tal cordoglio sostenne
di te, padre, ucciso con tanta
vergogna, con tanta pietà.
Ma io non desisto
dai pianti, dagli ululi lunghi,
finché io le ardentissime ruote
degli astri ed il giorno contempli.
Come orbo dei figli usignuolo,
farò su le soglie paterne
suonar dei miei gemiti l’eco.
O dimora di Ade e di Persèfone,
o Ermète sotterraneo, o figlie dei Numi
Erinni, che sopra gli uccisi
per frode vegliate, e sui talami
usurpati, movete al soccorso,
vendicate la strage del padre,
e a me rimandate il fratello,
ché io più regger non posso da sola
il peso di questo insostenibile affanno.
Aria, erede di uguali orizzonti
senti, che canto di morte
che vibrare di colpi
sui miei lividi seni quando il buio del cielo dilegua.
Notti bianche ! Complice conscio
il mio amaro giaciglio, tra mura dolenti,
sa la sofferta canzone di morte
che dedico al padre.

Parodo commatica
Elettra (rivolta al coro)
Per consolarmi dei miei dolori
veniste, o figlie d’eroi magnanimi,
lo so, lo intendo, non son dimentica.
Ma non per questo posso desistere
Dal piangere l’infelice padre.
O voi che d’ogni grazia remunerate l’amicizia mia,
vi supplico, lasciatemi
a questa mia follia.

CORO                
Coraggio, coraggio, figlia mia, grande ancora in cielo è Zeus, che tutto vede e domina: a lui rimetti
la tua rabbia, a lui il tuo dolore. E non soffrire troppo per chi odi, ma non dimenticare: il Tempo è
un dio che tutto rimedia…

ELETTRA
E intanto il meglio della mia vita scivola nella delusione e sono stanca; e mi logoro senza figli,
senza un amico, senza un uomo che mi voglia bene e mi protegga. Vivo tra queste mura come
un’estranea, con questi cenci addosso, costretta a mangiare i loro avanzi: vivo come una serva in
casa di mio padre.

CORO                
Tornò suo padre e levò il suo grido. Atroce il grido dalle sue stanze, quando la scure vibrò il colpo
sul cranio. Fu rete d’inganno, fu morbosa passione d’amore a colpire: e dell’amplesso orrendo il
parto fu un mostro, fu aborto di un uomo o di un dio.

ELETTRA
Giorno pieno di odio per me! Notte piena di angoscia per quel banchetto infame. Li vide mio padre
i colpi mortali vibrati da quelle stesse mani che mi hanno rubato questa vita mia, che mi hanno
tradita, annientata. A loro il grande dio d’Olimpo faccia patire le stesse pene: non se la godano la
ricchezza, loro che hanno compiuto il crimine.

CORO                  
Ora attenta! Non dire di più! Non comprendi la causa delle tue disgrazie? Con le tue mani
sprofondi nel baratro delle tue miserie. Già troppo male ti sei fatta, perché il tuo cuore inasprito ha
cercato lo scontro. Ma con chi ha il potere non si può lottare.

ELETTRA
Sono stata costretta da una dura, durissima necessità. Oh, la conosco bene la rabbia che ho qui
dentro! Eppure, anche nella disgrazia, voglio tenermela dentro questa angoscia, finché avrò vita.
Ma chi, chi, care amiche, può darmi una parola di conforto o un consiglio giusto? É inutile, amiche
mie, non consolatemi: per me non ci sarà rimedio, mai; non ci sarà tregua, mai, per le mie pene e i
miei lamenti, mai.

CORO                
Te lo dico ancora con affetto, come una mamma: non cercarti altro male.

ELETTRA
Va bene! Va bene! Ma c’è un limite al male? Ditemi: è un comandamento dimenticare i morti?
Quale uomo può avere una simile idea? Io non la voglio la stima di quei due là. Non voglio un
quieto vivere qui, insieme a loro, se in me resta ancora un po’ di buono. Non voglio reprimere i miei
acuti gemiti per mio padre. Se quel povero morto sarà solo polvere e nulla più e se quei due non
pagheranno col loro sangue la pena della sua morte, al mondo non ci sarà più rispetto né pietà.


I Episodio
Nel primo episodio entra in scena Crisotemi, sorella di Elettra, figura molto diversa, debole,
incapace di forti passioni come l’altra. E’ portatrice di brutte notizie e vorrebbe che la sorella
cessasse dall’odio che la perseguita da anni. E’ l’episodio del sogno fatto da Clitemestra e
raccontato da Crisotemi.

CRISOTEMI
È stato un sogno, un sogno pauroso, questa notte.
………………………
Si dice che lei abbia visto tuo padre e mio tornare alla luce e unirsi a lei una seconda volta. E poi
lui prende lo scettro di un tempo, ora nelle mani d’Egisto, e lo pianta nel focolare; e dallo scettro,
in alto, germoglia un ramo pieno di rigoglio che spande la sua ombra su tutta la terra di Micene.
Questo mi ha detto un uomo che era lì presente, mentre lei confidava il suo sogno al Sole per
purificarsi. Altro non so, ma per questo mi manda alla tomba, per questa sua paura. Per gli dèi
della nostra famiglia, ti prego, ascoltami, non cadere nella tua pazzia: se mi respingi ora, verrai a
cercarmi un giorno, quando sprofonderai nella disgrazia.


II Episodio
Appare Clitemestra per un drammatico confronto con Elettra. Ognuna delle due donne esprime le
sue ragioni, ma quelle di Clitemestra sono evidentemente pretestuose, sostenendo di aver ucciso
Agamennone per vendicare il sacrificio a Troia della figlia Ifigenia.
Dopo aver smontato le sue ragioni con dialettica stringente Elettra conclude:

ELETTRA
Ma tu per me non sei mamma, sei padrona: e io vivo una vita di stenti e di pene per colpa tua e del
tuo amante. E mio fratello, strappato da me a stento dalle tue mani, povero Oreste, anche lui vive
una misera esistenza: lui, che tante volte mi hai accusato di crescerlo per la vendetta! E lo farei, lo
farei, stanne certa, se ne avessi la forza. E allora proclama pure a tutti, se ti pare, che sono cattiva,
maligna e sfrontata. Se ho tutte queste doti, puoi essere fiera di tua figlia: non disonora i pregi che
le vengono dalla tua natura.
Mentre lo scontro continua senza risparmio di colpi arriva il Pedagogo che si finge ignaro di tutto,
mandato solo a comunicare la morte di Oreste. Questo è il suo racconto:

PEDAGOGO
Oreste era andato ai giochi di Delfi, festa solenne e vanto della Grecia intera. Quando l’araldo
annunciò la prima delle gare, la corsa a piedi, lui entrò nello stadio: era splendido, l’idolo di tutti,
e nella corsa fu pari al suo splendore e conquistò il premio ambito della vittoria.

……………………..

Ma quando un dio vuole la tua rovina, nessuno, anche se forte, può sfuggire. Il giorno dopo, quando al levar del sole, fu il momento della corsa dei cocchi, Oreste scese in campo insieme a molti aurighi…… Si serrano confusi, agitano la frusta senza tregua per superare ciascuno la ruota dell’altro e i cavalli frementi. Sul dorso degli aurighi e sulle ruote in fuga schizzava la schiuma e il fiato ansimante dei cavalli. Oreste si teneva stretto alla meta, la sfiorava col mòzzo della ruota, allentava le redini al cavallo di destra, frenava il cavallo di sinistra che la rasentava.

…………………….

E intanto Oreste si mantiene in coda, risparmia col freno le cavalle, fiducioso nell’ultimo giro………Ma poi allenta la briglia sinistra alla cavalla più rasente alla curva e non si accorge e urta sullo spigolo la meta: il mòzzo dell’asse va in frantumi, lui s’impiglia nelle redini e viene trascinato dai cavalli dispersi per la pista. ………..Riescono a stento alcuni aurighi a frenare i cavalli e lo liberano: è coperto di sangue.

Questa è la reazione di Clitemestra

CLITEMESTRA
Mi hai portato prove sicure della sua morte, la morte di quel figlio nato dalla mia vita, di quel figlio
che poi si è staccato dal mio seno ed è fuggito via lontano, in esilio. Di quel figlio che non mi ha
più rivisto da quando uscì da questa terra e mi accusava della morte di suo padre e minacciava
vendetta. Giorno e notte il sonno, dolce, non riusciva a chiudere i miei occhi e il tempo scivolava su
di me in attesa ogni istante della morte. Ma ora, ora in questo giorno, mi sono liberata – per sempre dalla paura di lui e di lei, perché lei, lei che sta nella mia casa era il male peggiore e mi succhiava il sangue, il sangue della vita mia. Ma ora, finalmente, posso vivere in pace, senza le sue minacce.
Alla drammatica notizia della morte di Oreste Elettra, al contrario, tocca il fondo del suo dolore

ELETTRA
L’avete vista, quella donna: vi sembra addolorata, afflitta? Vi sembra che versi lacrime per suo
figlio, morto in quel modo orrendo? No! É andata via, lei, con un riso di scherno! Povera me! Mio
caro, caro Oreste, la tua morte mi ha ucciso! Mi abbandoni e mi strappi dal cuore l’unica speranza:
vedere il tuo ritorno, vivo, per vendicare tuo padre e la tua povera sorella! Dove andrò ora? Io
sono sola: tu non ci sei, nostro padre non c’è! Io sono sola! Ancora dovrò fare la serva a quella
gente che odio con tutto il mio cuore, agli assassini di mio padre. Bella esistenza la mia! No, no,
non entrerò là dentro, non vivrò con loro nemmeno un istante. Mi lascerò cadere qui su questa
porta, sola, senza nessuno che mi vuole bene, e qui lascerò inaridire la mia vita. Sì, mi ammazzino
pure quelli là! Mi ammazzino, se è un peso per loro la mia vita! È un bene, se mi ammazzano, un
dolore se vivo, perché della vita non ho più desiderio.

III Episodio
Nell’apparente immobilità indotta dallo spazio teatrale, il teatro di Sofocle è straordinariamente
mosso dal sovrapporsi di colpi di scena, repentini mutamenti di situazione, interazione fra
protagonisti e fra personaggi e Coro, la trama narrativa s’infittisce di momento in momento e i
risvolti psicologici si definiscono sempre più complessi.
Entra Crisotemi, ignara della sorte del fratello. E’ stata sulla tomba di Agamennone e ha visto il
ricciolo biondo che Oreste, appena arrivato, aveva lasciato sul tumulo.
E’ convinta che lui sia tornato e che apparirà di lì a poco.

CRISOTEMI
È qui! Oreste è qui, accanto a noi! È vero, ascolta, è vero! Com’è vero che ora tu mi vedi!

ELETTRA
Sei pazza, pazza, e te la ridi delle mie disgrazie e delle tue?!

CRISOTEMI
Ti dirò tutto quello che ho visto. Arrivo all’antica tomba di nostro padre e vedo scorrere giù
dall’alto del tumulo un fiume di latte, e il tumulo pieno di corone, corone di fiori ancora freschi e
d’ogni specie. Mi guardo intorno, stupita; e intorno… silenzio; e allora mi accosto piano piano,
tremavo tutta; e sulla tomba vedo una ciocca di capelli appena tagliata. E subito, appena la vedo,
povera me, un colpo qui al cuore a quella visione per me così cara: vedevo lì davanti a me il segno
di Oreste, la persona a me più cara al mondo. Sfioro quei capelli, li tengo in queste mani in silenzio
e subito per la gioia gli occhi mi si riempiono di lacrime. E ora, come in quel momento, sento di
sicuro che quel dono splendido non poteva essere che suo.
Crisotemi non sa quanto sia vicino al vero quello che sta dicendo, ma la verità in questo momento è
per tutti ammantata di nebbia.
Ecco dunque una delle tante sticomitie del testo che rendono l’azione continuamente cangiante,
mossa, in divenire:
ELETTRA
Sei pazza! Da tempo sei pazza! E mi fai compassione.
CRISOTEMI
Perché, perché? Non ti fanno piacere queste mie parole?
ELETTRA
Sei fuori di te e non ragioni.
CRISOTEMI
Che dici? Io non saprei quello che ho visto con questi miei occhi?
ELETTRA
È morto! E tutte le speranze di salvezza da te riposte in lui sono svanite. Non pensare più a lui!
CRISOTEMI
Povera me! E da chi l’hai saputo?
ELETTRA
Da chi l’ha visto morto.
CRISOTEMI
E quest’uomo dov’è? Mi fa impressione questa nuova notizia.
ELETTRA
È là, in casa; ospite, assai gradito, di nostra madre.
CRISOTEMI
Povera me! E di chi erano allora quelle offerte?
ELETTRA
Le avrà lasciate qualcuno in memoria di Oreste.
A questo punto Elettra, con tono conciliante come mai finora, le propone il suo piano, uccidere i
due assassini.
ELETTRA
Dammi retta, sorella cara, dammi un sostegno nella lotta per i nostri cari, salva subito me, salva te
stessa, pensa che vivere nella vergogna è una vergogna per chi è nobile di natura come noi.
CRISOTEMI (arretra inorridita)
Dove vedi, pazza, tanta forza per scendere in campo armata da questa febbre d’azione e per
chiamarmi a combattere al tuo fianco? Tu sei una donna. Non lo vedi? Sei una donna, donna non
uomo, e non hai in queste braccia la forza dei tuoi nemici. La fortuna è con loro da sempre: la nostra declina, s’è ridotta a niente. Chi può pensare di uccidere un uomo tanto forte e uscirne sano e salvo? È vero, noi stiamo male, ma attenta a non tirarci addosso mali peggiori, se qualcuno sente questi tuoi discorsi… e se la forza non c’è, impara a cedere a quelli che ce l’hanno.
ELETTRA
Non mi ero illusa: sapevo già che il mio piano era respinto, scontato il tuo rifiuto. E allora compirò
l’opera con le mie mani e sola: io non mi tiro indietro.
…………………………
ELETTRA
Questo tuo consiglio significa che non vuoi aiutarmi.
CRISOTEMI
È vero, non ti aiuterò, perché il tuo piano ti rovinerà.
ELETTRA
Ah! la tua sapiente rassegnazione, come la invidio! Ma come mi fa ribrezzo la tua viltà!
TERZO STASIMO
Il compianto del coro sulle sorti di questa famiglia è segnato da profondo dolore, ma in questo canto
del coro c’è il momento più alto di lode per la grandezza di Elettra. Ascoltiamolo.
CORO                  
Perché non guardiamo agli uccelli del cielo? Si prendono cura e portano cibo a chi li ha generati e
nutriti. Perché anche noi non ripaghiamo così i nostri cari? Per la folgore di Zeus, per la Giustizia
celeste, i colpevoli non resteranno a lungo impuniti. Fama delle umane vicende che scendi tra i
morti, fa’ risonare laggiù per gli Atridi il mio doloroso lamento, porta laggiù notizia dei miei tristi
oltraggi.
Questa famiglia è marcia ormai; c’è discordia fra due sorelle, non più armonia di affetti. Elettra,
tradita, è sola nella tempesta e sempre piange, infelice, suo padre: un eterno lamento d’usignolo,
Elettra sfida la morte, è pronta a chiudere gli occhi alla luce. Due fiamme di vendetta bruciano nel
suo cuore. Quale germoglio di donna c’è al mondo più generosa di lei?
IV Episodio
Il culmine della tensione tragica si realizza nel quarto episodio, momento nell’agnizione fra Elettra
e Oreste.
I due giovani non si riconoscono subito, Oreste porta l’urna con le sue false ceneri e sta per entrare
nel Palazzo. Elettra, prostrata, gli chiede di poter stringere a sé l’urna.
Il riconoscimento fra i due fratelli è affidato ad una lunga sticomitìa (dialogo con battute di un solo
verso), che porta all’estremo l’akmè tragica. E’ un riconoscimento graduale, teso, drammatico, che
culmina nella gioia incontenibile di Elettra e nell’orrore di Oreste nel vedere le condizioni a cui è
ridotta la sorella.
Da questo momento l’azione si fa rapida, convulsa, torna in scena il Pedagogo che con Pilade e
Oreste rientra nel Palazzo per attuare il piano di morte.

Esodo
Finale piuttosto breve rispetto allo sviluppo delle sezioni precedenti. La catastrofe tragica si compie
con l’uccisione fulmInea di Clitemestra, seguita da quella di Egisto.
Mentre Oreste è all’interno, Elettra esce sul portico colma di furente gioia per ciò che sta per
accadere. E’quella che è stata definita la sua “mania etica”.

Commo
vv 1407-1441
Dall’interno arriva il grido di Clitemestra che vede gli uomini armati:
Egisto dove mai sei ?
Il suo primo sentimento è il senso di abbandono.
Riconosce Oreste:
Figlio, pietà per chi ti diede la vita
Elettra commenta beffarda di fronte al coro inorridito:
Ma pietà di lui tu non avesti, né del padre
Clitemestra:
Mi colpiscono, ahimè
Elettra (rivolta ad Oreste):
Se puoi raddoppia, per tutti e due
Oreste esce dal Palazzo con la spada insanguinata, arriva Egisto con cui avrà un breve confronto in
cui ribadisce la necessità di un giusto castigo per gli assassini:
Oreste
Scattasse subito per tutti questa pena: morte
a chi valica le norme! La delinquenza
calerebbe molto
Il canto finale del Coro, a cui ogni tragedia affida il congedo, riflette dolorosamente sul destino
dell’uomo e sulla sua determinazione ad andare con “fermo volere” alla conquista della libertà:
Coro
O stirpe di Atreo, quanti affanni
Hai sofferto per giungere
Alla meta penosa e prefissa,
alla tua libertà, conseguita
finalmente con fermo volere.


Il problema etico del matricidio

Prevalente nella tragedia è il problema etico del matricidio che si scontra con la sua dura necessità in quanto ordinato da Apollo.
La giusta punizione della madre uxoricida è un ordine del Dio a cui è impossibile sottrarsi, ma Oreste non è mosso solo da cieca ubbidienza, quello che compie è frutto della sua piena volontà.
Stessa cosa possiamo dire di Elettra.
Il senso del tragico è in questa duplice spinta al matricidio che, benché ordinato da un Dio, è anche un atto volontario che pone un enorme problema etico.
Poiché il matricidio è un crimine efferato, s’impone l’intervento divino a “giustificarlo” e ad “assolverlo”, ma perché all’uomo tocchi fare scelte così tremende la tragedia non dà risposta.
Possono essere avanzate ipotesi, colpe ancestrali, errori, macchie che gli Dei vogliono punire, o non trovare assolutamente nulla, come farà Euripide e come accade all’Edipo sofocleo, il colpevole/incolpevole la cui vicenda dimostra, come affermò Jaspers, “l’apparente assurdità della sventura”. Nessuno ha il diritto di considerarsi immune dalla fatale disgrazia, fosse anche la persona più giusta del mondo.
Il dramma, che si presentava a Sofocle in tutta la sua impressionante gravità, era: trascurare la vendetta voluta dallo spirito del padre che la reclamava attraverso il Dio o macchiarsi di una colpa nefanda come il matricidio?
Come risolvere il problema morale e religioso insieme, oltre che drammaturgico?
Sofocle non può risolverlo ma neppure può nascondersi l’atroce gravità di un gesto voluto dagli Dei, dallo spirito del padre e dalla giustizia umana. Il matricidio è il nodo centrale della saga tragica degli Atridi, aperta in Eschilo con l’uccisione di
Agamennone, tornato in patria dopo la distruzione di Troia, e conclusa in Sofocle con la morte di Clitemestra per mano del figlio Oreste, complice la sorella Elettra.
Nel panorama della tragedia attica è il tema più scottante in assoluto, e, dopo l’uccisione dei figli da parte di Medea, il più atroce e difficile da guardare con occhio distaccato.
Sull’ Elettra di Sofocle il dibattito critico è stato lungo, concentrato su come porsi a proposito dell’orrore del matricidio che nella tragedia può sembrare quasi ignorato, con Elettra e Oreste ossessivamente determinati fino alla fine.
Una parte della critica ha ritenuto di vedere in Sofocle un’adesione totale alla versione omerica del mito, secondo cui il matricidio sarebbe un’azione eroica e gloriosa comandata dal Dio.
In questa prospettiva nessun problema morale né conflitto di doveri, nessuno scrupolo e rimorso da parte dei due fratelli.
Negli ultimi trenta anni, però, l’orientamento critico è cambiato, ritenendo che Sofocle non potesse essere indifferente all’orrore per un simile delitto.
Apollo ha ordinato il matricidio? O a lui Oreste ha chiesto non “se” compierlo ma “come” farlo?
La responsabilità non investirebbe in questo caso la divinità ma solo l’uomo.
Sappiamo che non è così, la tradizione del mito parla di ordine dato dal Dio e nel Prologo risulta molto evidente:
Sofocle, Elettra, prologo, 33-41
Oreste: Quando interrogai l’oracolo di Delfi
Per conoscere in qual modo
potessi vendicarmi degli uccisori di mio padre,
Febo questo responso volle darmi:
“Solo, disarmato, senza uomini al tuo fianco,
agendo di sorpresa, astutamente, c

con un colpo di mano potrai cogliere
alfine la legittima vendetta.
Come in Eschilo, Apollo aveva comandato ad Oreste di eseguire la vendetta non apertamente, a mano armata, ma con la frode. Evidentemente il termine “disarmato” si riferisce alla fase precedente l’uccisione, quella cioè dell’inganno ordito da Oreste con il Pedagogo. Le armi, necessarie per compiere la vendetta, appariranno al momento opportuno. Di certo Sofocle aderisce alle norme del diritto attico secondo cui il figlio può punire il genitore che si è macchiato del sangue del coniuge.
Ciò però nulla toglie al dovere di rispetto verso la madre che ha dato la vita. Ucciderla è cosa assolutamente mostruosa e alla coscienza dei Greci già nel V secolo l’azione ripugnava.
Dunque come risolvere questa aporia?
L’inespiabilità del gesto compiuto da Oreste con la complicità di Elettra è innegabile, ma come può Oreste uscirne senza sembrare un mostro snaturato? Il suo dovere è ubbidire al Dio soddisfacendo lo spirito paterno e riparando l’ingiustizia, ma la sua azione, nonché necessaria, resta comunque penosa e perfino ripugnante.
Era necessario che il poeta rendesse tollerabile con la sua arte la dura necessità del matricidio.
Il teatro di Sofocle pone al centro la tragica condizione dell’eroe, la sua presenza nel mondo in cui è costretto ad agire e patire.
Nulla lo assolve se non il suo eroico vivere all’interno di scelte tragiche.
Sofocle affida al ritratto di Clitemestra l’incarico di fornire elementi probatori che possano in qualche modo dimostrare la giusta ragione della sua morte: nelle parole dei vari personaggi e in quelle che lei stessa pronuncia quando è sulla scena, appare come donna in cui è morto qualsiasi elemento di umanità e non manca occasione in tutto lo sviluppo del dramma per dimostrarlo.
Oreste ed Elettra sono assolti dalla stessa malvagità e immoralità di Clitemestra che ha perso, con il suo comportamento, ogni diritto al rispetto dei figli e si è autocondannata a morte. Mosso dalla necessità di far capire le motivazioni del gesto orrendo e dare alle soluzioni drammaturgiche le giuste angolazioni, Sofocle elabora un testo di cristallina complessità, pone sulla
scena l’intricato sviluppo di relazioni umane difficili, tortuose, esito di vicende straordinarie che di ognuno rivelano passioni, desideri, pulsioni oscure, fragilità e paure.
Eppure Elettra non è un dramma psicologico, benchè scavi a fondo nella psiche dei personaggi.
E’ piuttosto il dramma della Dike, della giustizia, strettamente connessa con la religiosità e il senso morale del mondo greco.
Il matricidio è una tragica e dolorosa necessità, la madre snaturata ha gravemente condizionato la vita dei figli, ha costretto Oreste bambino all’esilio, ne ha usurpato i beni espropriandolo del diritto alla successione, ha offeso la natura di Elettra privandola della gioia di essere donna, e, soprattutto, ha tolto loro un padre amato profondamente.
Quale giuria non assolverebbe i due fratelli?
Sofocle condensa così le problematiche presenti nei testi di Eschilo ed Euripide, dove restavano margini di ambiguità.
Il matricidio è stato l’attuazione di una suprema esigenza di giustizia.
Essa si configura così come il principio assoluto del vivere civile, il dovere primo dell’uomo, il faro di civiltà garantito dagli Dei e sancito dalle leggi degli uomini.


INDICE
Dal tramonto dell’epica al problema etico nella tragedia
Protagonisti
Lettura del testo (parti scelte)
Il problema etico del matricidio