Cubiste a 12 anni: per sentirsi più grandi o per sentirsi meno sole?

Ho appena terminato di leggere il
famigerato libro-inchiesta “Ho 12 anni faccio la cubista mi
chiamano principessa-storie di bulli, lotite e altri bimbi” edito
da Bompiani e scritto da Marida Lombardo Pijola (giornalista del
Messaggero) che, come molti sapranno, racconta le vite segrete di
molti adolescenti italiani. Nel libro vengono presentate cinque
storie autentiche di ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14
anni che il sabato pomeriggio, eludendo con banali scuse la
sorveglianza (non so quanto attenta) dei loro genitori, trascorrono
alcune ore nelle discoteche in cui alcool, droghe e sesso la fanno da
padrone. Gli organizzatori dei pomeriggi alla “disco” sono
giovanissimi, così come giovanissime sono le cubiste che si
esibiscono semi-nude in danze provocatorie (se non oscene).

Ma il libro si spinge oltre e prende in
esame il mondo virtuale in cui questi ragazzi trascorrono gran parte
del loro tempo, proponendo alcuni stralci dei loro blog che
racchiudono invettive razziste, vite da bulli e sballi continui! E’
sconvolgente il mondo sommerso di questi adolescenti ma ancor più
deprimente è la miseria esistenziale in cui sono sprofondati:
\’\’Trescare serve per far carriera, e poi ti diverti. I gestori hanno
sedici, diciassette, diciotto anni. Fuori dal locale non si
filerebbero mai una che va in seconda media. Ma se fai la cubista sei
una donna. Non più una ragazzina. Con i clienti alla disco
treschi soltanto se ti va. E puoi farti pagare, se vuoi,così
ti diverti e ci guadagni! E’ come se fossi già grande, come
se avessi già un lavoro\’\’ [pag. 27]. Ma davvero si diventa
cubiste solo per sentirsi grandi? Il quadro che viene fuori dai
racconti è ben più complesso; è un mondo fatto
di solitudini e incomunicabilità tra figli e genitori assenti,
distratti e distaccati \’\’Quando ho bisogno della presenza dei miei
genitori loro non ci sono e quando voglio stare per i fatti miei loro
incombono… Il dialogo non esiste, ogni volta che provo ad aprire
bocca iniziano a parlarmi sopra, dicono che sparo solo cazzate e poi
si lamentano xché non parlo mai. La scuola è una
tortura… per i miei non sono 1 essere umano ma una makkina e le
makkine non possono mai sbagliare… ma un discorso kosì kon
loro non potrei mai affrontarlo…non capirebbero quello ke mi stanno
facendo… non so + a ki rivolgermi x essere considerata 1 persona\’\’
[pag.194] . Non si tratta dell’eterno conflitto tra adolescenti e
adulti, non c’è conflitto (che presupporrebbe un
incontro fra le parti in causa) ma soltanto assenza e silenzi… e questi ragazzi si ritrovano ad urlare la loro rabbia in anonime
“orecchie” virtuali che non possono aiutarli a crescere: \’\’Quando
il mio cellulare tace, io non appartengo. Sono un’ombra. Mi metto a
digitare freneticamente per non scomparire, squilli a Carlotta,
cuoricini a Luca, sms per Massimo Nicola Antonio, bastano due parole,
dove sei, come va, che fai, il senso non conta, non conta neppure la
risposta, conta soltanto esserci, comunicare, stendere un filo tra
due capi per interrompere il vuoto, attraversarlo.\’\’ [pag. 175]. Non
viene risparmiata, ovviamente, neanche la scuola e la percezione che
questi giovani hanno dell’insegnante, è spietata e in parte
reale: \’\’La scuola è un gioco con le carte truccate dove tutti
barano. La vita è fuori da quelle finestre con i vetri rotti
dietro le quali manca l’aria, lontano da quei signori che rubano il
tuo tempo e ti considerano un numero, uno dei tanti, uno stampato in
serie, e ignorano tutto di te, dei tuoi pensieri. La scuola è
una palude.\’\’ [pag. 147]. E ancora: \’\’Vorrei ke ci fossero dei
professori interessati veramente a kuello che insegnano, nn dei
professori a cui interessa solo lo stipendio!!\’\’; \’\’Dove vado a
scuola i professori rompono i coglioni ma in realtà non gliene
importa un cazzo…se studi o non studi x loro non fa nessuna
differenza…se non vuoi seguire le lezioni ti mandano fuori dalla
classe ed alla fine sia che vai bene sia che vai male non gliene
frega niente a nessuno!!\’\’ [pag. 168]. I bagni scolastici diventano
luoghi di incontro per consumare droghe e per fugaci e deprimenti
esperienze sessuali vissute a ridosso di un wc. Tutto accade sotto
l’occhio stanco o “menefreghista” del prof. di turno che
continua a spiegare facendo finta di niente. Eppure scorrendo il
libro e soffermandosi sui tanti pensieri dei ragazzi, è
possibile rintracciare il desiderio di cambiamento che li pervade, a
dimostrazione del fatto che sono consapevoli del vuoto che li
circonda: \’\’Sono un ragazzo ho 12 anni ho scritto una poesia…
Eccola…I miei pensieri vagano alla ricerca di un raggio
rischiarante…una luce che guidi il mio cuore verso una nuova
via…che mi faccia rinascere…lasciandomi alle spalle questa
silenziosa oscurità di una vita bruciata…\’\’ [pagg. 220-221];
\’\’Caro Dio secondo me tu non esisti, ma se dovessi sbagliarmi, se
stessi veramente mandando a quel paese il capo supremo dell’universo,
so che tu sei misericordioso, l’hanno detto quando ho fatto la
prima comunione l’anno scorso, e nn mi manderai all’inferno…
dovresti cercare di capirmi… io ci sono già all’inferno…!!
Perciò se esisti dovresti essere kosì gentile da farmi
un favore: fai in modo che kualcuno mi stia vicino, sennò alla
fine crollo!\’\’ [221]; \’\’Il mondo mi vuole rapido, veloce per
ricordare solo il rumore del mio passaggio. Al mondo non interessa
nient’altro di me, non conto per nessuno, non sto andando da
nessuna parte…Allora che faccio? Accelero, accelero, accelero…!\’\’
[pag. 218]; \’\’Sono isterika… il mio sangue ribolle… le mie mani
tremano… il mio cuore batte come una bomba ad orologeria… i miei
okki sbarrati nel vuoto, verso quella parete nera…ke ci sto a fare
kosì? A ke kosa servo?\’\’ [pag. 218]. E’ un sospiro di
sollievo questo…un punto di partenza dal quale avviare un discorso
educativo e ristrutturante, nulla è perduto (come molti
credono), il ‘sentire’ dei ragazzi è un sentimento
autentico e nessuna moda è riuscita ad omologarli, almeno in
questo. Trovare il sentiero che ci avvicini ai ragazzi e ce li lasci
prendere per mano, forse è questo il compito di cui
l’insegnante dovrebbe farsi carico (anziché scandalizzarsi
dinanzi alla tv e all’ennesimo messaggio di disagio che gli
adolescenti inviano). Quale sentiero? Quale via? Sono gli stessi
ragazzi ad indicarceli: tutto ciò che ruota attorno a loro e
che li motiva, dalla blogsfera ai cellulari, (sempre che poi non
arrivi un Ministro della Pubblica Istruzione a vietarne l’utilizzo…)
dal calcio alla musica… Ci vuole il coraggio di cambiare e farsi
contaminare dall’energia che è nei giovani, occorre
percorrere vie alternative alla classica lezione frontale sviluppata
su materiale cartaceo tanto ostile alle nuove generazioni. Prima di
leggere saggi sui bulli e sugli adolescenti, sarebbe bene tuffarsi
nei blog da loro frequentati e sentire dalla voce dei protagonisti il
perché dei loro gesti. Se è vero che l’istituzione
scolastica non può e non deve sostituirsi alla famiglia, è
altrettanto vero che può diventare un ponte capace di colmare
il divario fra un genitore e il proprio figlio. La scuola
fortunatamente è piena di esempi positivi che andrebbero
imitati, ne cito uno in particolare, ben conosciuto dai
frequentatori della rete: il caso di Antonella Landi, insegnante con
gli anfibi
(non perché va a scuola a fare la guerra, ma
perché preferisce anche un abbigliamento più vicino ai
ragazzi piuttosto che completini di Luisa Spagnoli e mocassini dal
tacco barzotto) presso una scuola superiore di primo grado di
Firenze, la quale ha creato un blog con il quale comunicare con i
suoi alunni, uno spazio in cui possono incontrarsi e dal quale la
prof. può sviluppare le sue lezioni.
Laprofepuntoit.splinder.com è l’indirizzo del suo blog, “La
profe-Diario di un’insegnante con gli anfibi” ed. Mondadori, il
libro nato dalla sua esperienza. Sicuramente anche nella nostra
provincia si vivono a scuola esperienze capaci di strappare i nostri
ragazzi al ‘nulla’(poiché non possiamo pensare che
le vicende raccontate dal libro della Pijola siano lontane dai nostri
ragazzi solo perché vivono in una piccola città come
Teramo), sono al corrente, ad esempio, di realtà scolastiche
in cui è stata scelta la poesia quale via alternativa di
crescita e formazione. Mi piacerebbe conoscere altre realtà e
invito chiunque ne sia al corrente, a pubblicare sul blog alcune
esperienze così da poter promuovere uno scambio di idee e
vissuti sicuramente proficui.

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