Diotìma di Mantinea: la sacerdotessa del Simposio di Platone

Diotìma di Mantinea: la sacerdotessa del Simposio di Platone

Molte sono le figure femminili presenti nelle opere platoniche o come comparse o come riferimenti letterari: Euridice, Alcesti, Teti, Melanippe, Anangke, Aspasia, Santippe, Atena… ma su tutte si staglia Diotìma, la sacerdotessa di Mantinea.

Certo, le donne ricoprivano un ruolo di tutto rilievo nei simposi greci: concubine, flautiste, suonatrici, etère allietavano i banchetti e istruivano i maschi nelle cose d’amore. Donne frequentavano le scuole filosofiche, come il giardino del più tardo Epicuro. Pur in una società maschilista e misogina come quella greca, le donne, se istruite e di alto lignaggio, erano tenute in debito conto. D’altra parte, Platone nella Repubblica ipotizzava che le donne, se filosofe, potessero partecipare alla gestione del governo, e nel libro V al paragrafo 256 ss dice che per quanto attiene alla “funzione” le donne sono pari agli uomini e Vegetti, uno dei massimi studiosi di filosofia antica, chiosa che questa è la più grande attestazione democratica di parità dei sessi della Grecia antica.

Entriamo nel Simposio: sono le Lenee del 416 quando Agatone riporta la vittoria nell’agone tragico e decide di dare un banchetto due giorni dopo nelle sua casa. Invita Socrate, che se ne va tirato a lucido con i sandali ai piedi – cosa eccezionale per lui che andava scalzo – si imbuca il discepolo Aristodemo, che fa la figura del parassita. Sono presenti: Pausania, il politico democratico; Erissimaco, il medico; Fedro, il giovane retore; Aristofane, il commediografo;  Alcibiade, il giovinetto più bello di Atene, trasgressivo e provocativo, che arriverà più tardi.

Sono presenti quindi otto simposiasti. Su proposta di Fedro, si decide di trattare il tema dell’Eros: i banchettanti a turno elaborano un discorso su Eros. Comincia Fedro, che compie un elogio di Eros secondo i canoni della retorica classica, citando da Esiodo e Omero: Eros è il dio più antico, nato dal Chaos e dalla Terra, la forza propulsiva dell’Universo (all’inizio era Eros- solevano dire i Greci). Pausania poi fa un lungo discorso, differenziando l’amore celeste, che mira alla sapienza, dall’amore pandèmio che mira alla riproduzione, secondo la nota distinzione della Repubblica di Platone, in cui si afferma la superiorità dell’amore omoerotico su quello eteroerotico. Aristofane ricorre al mito dell’androgino, cosa nota: gli uomini palla, insomma. Agatone compie il più bell’elogio di Eros, dio bello e buono. Veniamo al dunque: prende la parola Socrate, che conviene con Agatone. Dopo di che ha inizio il più bel passo di tutto il corpus platonico, anche a detta di Giovanni Reale, il massimo studioso di Platone, scomparso nel 2014

“A questo proposito vi voglio raccontare quanto mi fu detto da una straniera, la sacerdotessa Diotìma di Mantinea, esperta in questo e in altre cose. Dilazionò di ben dieci anni la peste di Atene…” Figura di spicco del Simposio, maestra di eros, ha iniziato Socrate ai piccoli e ai grandi misteri di amore. Ma chi è costei? Vexata quaestio: è veramente esistita o è il frutto dell’inventiva di Platone? Giovanni Reale, e io con lui, ritiene che sia frutto della creatività di Platone. C’è chi pensa che sia una controfigura di Aspasia, la concubina futura moglie di Pericle, maestra di retorica di Socrate. E’ una sacerdotessa e taumaturga  in questa mascherata che è il Simposio, che può essere letto come un’opera teatrale. D’altra parte prima che filosofo, Platone fu tragediografo con scarsi risultati. Di qui, per invidia, la condanna della tragedia.

La sacerdotessa, nell’iniziare Socrate ai piccoli misteri di Eros, spiega le sue funzioni, la sua nascita e le sue prerogative. Confuta Agatone perché Eros non è un dio bello e buono, ma nemmeno brutto e cattivo, non è né sapiente né ignorante né povero né ricco, né mortale né immortale. E’ un demone, anello di congiunzione tra uomini e dei, tra mondo sensibile e mondo sovrasensibile, tra anima e corpo. Vediamo superato quanto si dice nel Fedone: qui il corpo è la prigione dell’anima e l’anima si libera con la morte. Nel discorso di Diotìma anima e corpo convivono pacificamente ed Eros li tiene uniti. Diotìma, che è un nome parlante, colei che onora Zeus, esperta nella mantica, apre uno squarcio del tutto nuovo su Eros, dandone una lettura nuova e originale, raccontando la sua nascita nota da Penìa, la dea della povertà e da Poros, figlio di Metis, la sovrabbondanza, lo stratagemma, l’espediente. Nato dalla mancanza, aspira ad avere ciò che non ha e che pur ha conosciuto (teoria della reminescenza), tende con tutti gli espedienti, che gli derivano dal padre, a quel bello/buono che non ha. Rimarrebbe lacero, sporco, gettato sui marciapiedi e negli angiporti se non venisse in suo soccorso Pòros. Si solleva dalla sua pochezza grazie alla spinta paterna e guarda in alto al conseguimento della kalokaghatìa, senza poterla mai ottenere perché solo gli dei posseggono sapienza, bellezza e bontà.

Come dice Dodds, nei I Greci e l’irrazionale, i Greci non sono sapienti, ma vi aspirano, non in equilibrio, ma in tensione tra le parti, mai felici, mai paghi, ma sempre in pessimistica meditazione per via del tempo che tutto corrode. La vita è una comparsa: meglio non essere nati o morire al più presto. Fortunato colui che muore giovane combattendo in prima fila. Epì emére: attaccato al giorno é l’uomo, sogno di un’ombra – diceva Pindaro -. Se la vita è una apparizione di breve durata, l’eros le conferisce un senso che si dispiega nel discorso della sacerdotessa. Questo tuttavia non si trova nel vigore del corpo, ma nella spinta dell’anima verso la sapienza (confutazione di Erissimaco). L’eros non tende né alla metà né all’intero, a meno che questo non sia un bene (la sapienza): confutazione del mito dell’androgino di Aristofane.

In questa perenne e mai paga tensione verso la sapienza, Eros non è altri che il filosofo, che poggia sulla mancanza la sua ricerca: questo è il nucleo del discorso di Diotìma, che supera i discorsi degli altri commensali. Dalla mancanza nasce il desiderio de sideribus cadere, nella tensione a ricongiungersi a quel mondo delle idee, di cui il mondo è una copia, e a ritrovare quella pienezza che un tempo possedevamo, prima di essere gettati sulla Terra. Per raggiungere il Bello/Buono bisogna scalare i gradini della conoscenza (iniziazione ai grandi misteri) : dalla contemplazione di un corpo bello, alla pluralità dei corpi belli, all’apprezzamento delle occupazioni, delle arti, delle Leggi, delle Scienze. Le leggi garantiscono l’eunomìa e per questo Licurgo e Solone si sono guadagnati l’immortalità, mente Socrate si è sacrificato in nome delle leggi. Le scienze, come ci spiega Aristotele, sono quelle matematiche, che riconducono ad unità la pluralità. Infine si dispiega davanti al filosofo la contemplazione del bello, assoluto, sciolto, puro e incontaminato. Non avremo allora una parvenza di virtù, ma la virtù, come virtuoso fu Solone anche come poeta.

Sì, perché Eros è in grado di procreare il Bello secondo l’anima e secondo il corpo: quando i corpi sono gravidi e lo sono anche le anime, gli uomini si spingono a procreare. Si muovono verso le donne per produrre un bene finito, un figlio mortale, o verso i giovinetti, scambiando saggezza e bellezza e producendo un bene infinito, la sapienza. Questo è il vero amore. Poiché eros è il filosofo, questo è il più erotico di tutti e le sue parole producono incantamento. Chi sa parlare è massimamente erotico: per questo incantamento che produce, per Alcibiade Socrate è un Satiro. Che poi i Greci dessero grandissimo valore alla parola è cosa nota : già in Omero Nestore è degno di onori perché vegliardo e oratore e Odisseo viene celebrato per le sue abilità verbali. Quando stava seduto non gli avresti dato un soldo ma, quando si alzava a parlare, produceva lo stesso effetto della neve che cade in estate: incanto puro!

Il maestro è il più erotico di tutti, a prescindere dall’aspetto fisico: abbiamo bisogno dell’eros dell’insegnamento, come dice Massimo Recalcati in Un’ora di lezione. Dobbiamo ritrovare le parole leopardiane della poesia del sentimento, sentire nell’anima e nel corpo per procreare il bello. La lingua si è inaridita, come ha preconizzato Leopardi: tecnologica e burocratica, non esprime, ma definisce. Torniamo a pensare, avviamoci a questa scalata verso il Buono/Bello puro, sciolto, assoluto del Divenire. Tocchiamo i vertici dell’incontaminato e riscopriamo la virtù che tanto manca in questo secolo di deriva di valori e di nichilismo strisciante, che attecchisce a tutte le età, specie tra i giovani. Debelliamo l’ ospite inquietante e riportiamo la pluralità del Divenire all’Unicità dell’Essere. Cerchiamo di vivere in pienezza e sarà solo e soltanto Eros, l’unica forza che ci allontana temporaneamente dalla morte. Coltiviamo amore e poesia, ultima spes.