De merito

A proposito del merito, detto alla latina.

Quelli che mi conoscono sanno che ho sempre sostenuto e sostengo convintamente la necessità di riconoscere il merito. I miei alunni sono stati vittime della mia valutazione meritocratica e colleghi e presidi sanno quanto sono stata esigente. Ma ho insegnato nel triennio della scuola superiore, oltre la scuola dell’obbligo che prima si fermava alle medie e poi è arrivata fino al biennio superiore, cioè a 16 anni. Io estenderei l’obbligo fino al diploma. Quello che però mi ha subito insospettita nella dicitura del Ministero dell’Istruzione, è che dopo la scomparsa dell’aggettivo ” pubblica” già dai tempi di Moratti e poi di Gelmini, è comparso il sostantivo “merito”. – Perché? – mi sono chiesta – questo cambiamento, visto che comunque alla fine del percorso dell’obbligo, dove bisogna garantire l’istruzione a tutti, la valutazione era basata sulle tassonomie e quindi sul merito? Ho avuto subito una reazione urticante dovuta al mio sospetto che la scuola pubblica, che già era diventata un’azienda con il preside divenuto dirigente e alunni e genitori diventati clienti da accontentare ( i finanziamenti vanno dati in base al numero di iscritti e di progetti con le aziende), diventasse sempre più soggetta alle logiche privatistiche del mercato. Già da 30 anni circa subisce tagli finanziari, insieme alla sanità, a favore di quella privata.

Non c’è niente di più dannoso che applicare la logica dell’utilità e del profitto alla scuola, che deve essere formativa culturalmente e non professionalmente. A questo ci penseranno dopo le aziende o i vari enti, che devono formare solo dopo il percorso scolastico, e non durante. Addirittura, dicevo, io estenderei l’obbligo scolastico fino al diploma, per garantire a tutti un bagaglio culturale che permetta anche lo sviluppo di capacità critiche. Ma forse è proprio questo che non si vuole, perché le teste autonomamente pensanti possono diventare pericolose per il sistema che si basa sul privato e che cancella sempre più il concetto del pubblico che è di tutti.

 Tornando al merito, io distinguo anche il criterio di valutazione nella scuola dell’obbligo, che deve essere assicurata a tutti, e quello del percorso successivo, che deve essere invece selettivo. Ma per assicurare a tutti la formazione fino all’obbligo e per potere poi praticare una selezione su chi continua, è necessario assicurare soprattutto pari opportunità a tutti, colmando prima, cioè fin dall’asilo e dalle elementari ecc, il gap di partenza dovuto a eventuali condizioni disagiate di tipo sociale, economico, culturali. Un conto è fare scuola a figli di papà che hanno nonni e genitori laureati e diversi metri di libri a casa a disposizione, un conto è farlo a figli di nessuno i cui genitori spesso considerano tempo perso quello passato sui libri e premono perché si vada a lavorare prima possibile. A questi il ministero della Pubblica istruzione doveva destinare risorse per borse di studio e sussidi e attrezzature e tutto quanto fosse necessario per stare al passo dei più fortunati.

Ma la parolina magica “pubblica” è scomparsa. Allora credo che il merito diventi palesemente e ufficialmente di chi parte già avvantaggiato, cosa che in fondo è sempre successa, ma insieme c’era lo sforzo dello stato per i più svantaggiati. Perciò credo che venuto meno questo intervento dello stato, il merito diventi sempre più dei pochi eletti già di famiglia e diventi sempre più demerito per tutti gli altri.

Curioso che il complemento d’argomento latino, de merito, letto di seguito in italiano, diventi subito demerito. Il suo opposto.