G. Savoca, Olschki, Firenze, 2021
Nel corso del 2022, in occasione del centenario della morte di Giovanni Verga, l’omonima Fondazione di Catania ha promosso alcune iniziative volte a riproporre le opere dell’autore. Tra l’altro, si è curata l’edizione digitale degli scritti verghiani.
Tra i saggi pubblicati di recente, si segnala la monografia Verga cristiano, del prof. Giuseppe Savoca, docente emerito di Letteratura Italiana presso l’Università di Catania. Sin dal titolo, il volume prospetta un’interpretazione originale della personalità dello scrittore, che diverge dal filone egemone della critica. Per lo più, quest’ultima ha forgiato l’immagine di uno scrittore ateo e materialista, che ha descritto con distacco – e, talora, con ironia o persino sarcasmo – le teatrali espressioni della religiosità popolare siciliana.
Da parte sua, Savoca ci consegna un profilo nuovo, e più complesso, dell’autore de I Malavoglia. Il lettore si accosta al libro animato da una viva curiosità per la trama argomentativa dello studioso, volta a ad ascrivere a Verga una fede religiosa e – quel che più sorprende – di impronta cristiana.
Tra gli altri temi trattati dal volume, oltre alla religiosità dello scrittore, assumono particolare interesse l’accezione del principio dell’impersonalità in Verga (pp. 49-68) e il “romanzo familiare” costituito, a giudizio del critico, dalle lettere alla madre e ai fratelli (pp. 83-114). Il carteggio testimonia le difficoltà economiche di un giovane siciliano, aspirante scrittore, trapiantato al Nord. A Giovanni Verga, quindi, non è estranea la cogenza del “fattore economico” che incalza i personaggi de I Malavoglia e delle novelle.
Ben si comprendono i motivi che fanno de I Malavoglia l’opera più citata in Verga cristiano. Il romanzo offre allo studioso il contesto narrativo in cui porre in rilievo i caratteri della religiosità popolare, colti nelle espressioni autentiche come pure nelle contaminazioni farisaiche o superstiziose. Inoltre, avvalendosi delle proprie competenze lessicografiche, Giuseppe Savoca apprezza nel romanzo l’unicum di un testo in cui le parole della lingua italiana sono compaginate in virtù della sintassi peculiare del dialetto siciliano e, in particolare, della parlata dei pescatori di Acitrezza.
Il “Verga privato” che emerge dal volume di Savoca è partecipe di alcuni tratti caratteriali e – quel che più conta – del destino stesso dei propri personaggi. Le lettere ai familiari testimoniano che l’autore condivide con loro l’ineludibile sorte di vinto dalla «corrente della vita». Anch’egli ha combattuto per realizzare i propri desideri e migliorare la propria condizione economica. E, analogamente ai propri personaggi, si sente travolto e vinto da quella corrente, pressoché equa nella sua inesorabilità (si veda il brano della lettera al fratello Mario, a p. 12: «mi sento stanco e sfiduciato di tutto, pur nel tempo istesso che i miei scritti hanno fortuna».
Tuttavia, Giuseppe Savoca riconosce a Verga una peculiare fede cristiana (pp. 15-48), radicata nella propria famiglia. Il lettore dell’opera verghiana, pur ammettendo questa tesi, può legittimamente notare che si tratta comunque di una fede povera di contenuti noetici, e sostenuta da un’attitudine fondamentale e monolitica: l’abbandono alla volontà di Dio, che emerge soprattutto nelle situazioni-limite. Si tratta, generalmente, della miseria, della malattia, della morte oppure dell’esclusione dal consesso umano, decretata da uno stigma condannato, coralmente, dall’angusta società di appartenenza (si pensi alla sorte di ‘Ntoni Malavoglia). L’abbandono alla volontà divina è il carattere precipuo della fede del Verga e degli umili che popolano le sue pagine. E, per il critico, una fede siffatta è vissuta esemplarmente dai Toscano, conosciuti ad Acitrezza come i Malavoglia (appellativo, questo, evidentemente antifrastico).
A parere di chi scrive, tuttavia, nelle convinzioni dei Toscano l’autore traspone, ancor più che i caratteri della personale fede cristiana, i propri principi etici. Si tratta dei principi che, nell’epistolario, il “Verga privato” richiama all’attenzione dei familiari: innanzitutto, la lealtà e la fedeltà alla parola data. Se lo scrittore richiama i fratelli al dovere di saldare i debiti, padron ‘Ntoni ricorda ai nipoti che è necessario disporsi a ogni sacrificio al fine di pagare il debito contratto per lo sciagurato “affare dei lupini”, naufragato insieme alla Provvidenza.
Certo, Verga rileva, all’interno della religiosità popolare, anche la miriade di devozioni coltivate in maniera ossessiva nonché le molteplici forme di superstizione. Inoltre, egli presenta le più varie espressioni dell’ipocrisia religiosa, nel clero e nei laici. Nei Malavoglia, ne è ipostasi impareggiabile lo zio Crocifisso, il petulante usuraio che sgrana rosari.
D’altra parte, come osserva Giuseppe Savoca, è significativo che Verga presenti talora dei religiosi che incarnano una fede autentica. Da ciò si desume che egli (a differenza di altri scrittori del nostro Sud, quali Tomasi di Lampedusa, De Roberto, Pirandello e Sciascia) consideri con rispetto il fenomeno religioso qua talis. Alla luce di questa prospettiva, per Verga la religione non è riconducibile a mero epifenomeno di un complesso – “umano, troppo umano” – di istanze psichiche, egocentriche e apotropaiche. Ciò vale anche in riferimento a quella religiosità popolare siciliana che, al contrario, Leonardo Sciascia ritiene estranea al cristianesimo.
È appena il caso di dire che l’Assoluto alla cui volontà il “Verga privato” e i suoi personaggi si affidano è quel Dio personale che, solo, può rispondere all’appello della creatura indigente. Ma può un Dio personale e provvidente destinare comunque l’essere umano alla condizione di “vinto”? Si tratta di un quesito che il lettore può legittimamente porsi e che, tuttavia, non riceve un’adeguata risposta, neppure nel saggio di Giuseppe Savoca. Le aporie del cristianesimo dello scrittore siciliano non trovano soluzione nel “Verga privato” scandagliato dallo studioso. Probabilmente, esse la troverebbero in quel “Verga segreto” che si sottrae all’indagine di ogni critico e, forse, alla stessa consapevolezza dell’autore de I Malavoglia.