Fabio Carlini, Artemia nova editrice, Te, 2023
Una pubblicazione di interesse socio – antropologico, questa seconda fatica letteraria di Fabio Carlini, che in 5 racconti sviluppati in più di 200 pagine intesse usi e costumi dell’ambiente agricolo del teramano nel primo Novecento con espressioni linguistiche modulate che vanno dal dialetto locale di alcuni discorsi diretti o di detti popolari, all’italiano dialettizzato dei discorsi indiretti, allo stile proprio del narratore. Ad aggregarli, la tematica dell’infanticidio, un filo conduttore scabroso che fa luce su azioni inconfessabili, perciò negati, occultati, censurati o taciuti. Della loro effettiva realtà, però, esistono documenti e testimonianze.
Afferma ad esempio Alessio Basilico nel suo scritto Infanticidio (Edizioni Solfanelli, Chieti, 2019) : “Ho svolto ricerca negli archivi vescovili abruzzesi leggendo numerosi verbali di processi per infanticidio, concubinato, stupro, incesto, stregoneria. Ognuno di essi, specie ad una prima lettura, sembrava restituire un microcosmo. Traiettorie biografiche, vicende individuali e racconti si materializzavano sulle pagine dei documenti e mi sembrava che nulla potesse essere scartato.”
Pochi sono i referenti spazio-temporali precisi ma da quelli inseriti nella narrazione è possibile dedurre le coordinate sopra indicate: per i luoghi, il monte Camicia e Teramo nel primo racconto, Il mulino sul Cerchiola; Frattoli e Piano Roseto nel secondo, La quercia di Chiuchiurlotte; Castelli nel quarto, Il letto del Leomagno; il monastero a Teramo in cui si era ritirato il frate Pietro del quinto ed ultimo racconto, Consolina e Anacleto.
Il contesto storico è delineato da alcuni indizi: nella storia finale, il fidanzato di Sinforosa muore nella grande guerra del ‘15 -’18 e Pietro, suo ex fidanzato diventato frate, contrae la spagnola; nella prima e nella terza i mariti di Nunziata e di Milijetta si trovano in America per sfamare la famiglia, e fino a metà Novecento l’emigrazione in America, soprattutto nel Venezuela, era un fenomeno diffuso nelle nostre campagne.
Il linguaggio è ricco di termini dialettali e di detti popolari, come: “Quattre mese: la vocche li neghe, la panze li dece, mormoravano le malelingue, che parlavano di una gravidanza di quattro mesi, senza sapere che, invece, i mesi erano quasi otto”; “Padrone, se vu zappà la vigne/ lu vine bbone tu tì a caccià, / nge mette l’acque e nge caccià l’acete, / sennò invece che annanze arrieme arrete”; “La code de la volpe è a lunghe pele, / su alzate Eurosia e va a caccià a beve. / Nge purtà l’acetarelle e manche l’acquavicce / sennò tajeme li vite e lasceme lu capellicce.”
Gli infanticidi nell’opera di Carlini vengono tutti scoperti e denunciati alla Legge, quando vengono ritrovati i brandelli dei corpicini dei bimbi appena nati fatti a pezzi, e i loro autori condannati e incarcerati, cosa che non sempre avveniva purtroppo nella realtà, per cui non sempre è valido il detto riportato da Antonio De Nino in “Proverbi abruzzesi”, pubblicati nel 1877, “Chi delitto non tiene,/ della Corte non trema”. Le storie narrate In “L’urlo degli innocenti”, infatti, sono estrapolate da documenti, non sono realmente accadute tuttavia sono verosimili, ispirate a fatti veri.
Il mondo descritto dall’Autore è popolato da streghe, fantasmi, anime erranti, di cui la fantasia popolare nel suo immaginario affollava le campagne, di esseri spaventosi e diavoli che si materializzavano insieme ai Santi, verso i quali la devozione era molto forte.
Nello specifico, “le anime di coloro che non muoiono di morte naturale non trovano luogo, n’n à loche, nen drove loche,…perchè non < chiamate > da Dio; e perciò sono costrette ad andare errando, jì sperse, per la terra. […] Questi spiriti errabondi, aneme sperze, vanno ad assistere alla <messa dei morti>, che, nella notte del 2 novembre, si recita nelle chiese da preti; ma non possono entrare in chiesa, e rimangono fuori inginocchiati.” (Tradizioni popolari abruzzesi, Gennaro Finamore, Arnaldo Forni Editore, 1984).
Lettura coinvolgente, dunque, quella dei racconti di Fabio Carlini sull’infanticidio, soprattutto perché ci richiamano tradizioni e riti ancestrali delle nostre terre in un tempo e un mondo ormai scomparsi. Non sono scomparsi del tutto, però, soprattutto in alcune zone chiuse, pregiudizi e fenomeni di maschilismo feroce nei confronti delle donne considerate “leggere”, ritenute le uniche responsabili di una eventuale gravidanza indesiderata e lasciate sole ad affrontarne tutte le dolorose conseguenze. Le condanne delle donne sono le più inappellabili e crudeli e i 5 racconti condividono anche questo aspetto: l’esigenza di dover nascondere la pancia che cresce per sottrarsi alle malelingue che tuttavia le bollano già come “donnacce” per le loro relazioni extraconiugali ( avendo i mariti in America) o con uomini non liberi; il parto in solitudine come le bestie; il frutto del peccato a testimoniare la colpa; la disperazione di madre costretta ad una tragica decisione o a subire quella dell’uomo con cui ha condiviso il piacere; la vergogna della scoperta; l’onta delle catene verso il carcere.