Grazia Deledda e il Parco letterario di Galtellì (Nuoro)

Grazia Deledda e il Parco letterario di Galtellì (Nuoro)

A settembre del 2021 l’unica donna, finora, premio Nobel italiano per la letteratura ha compiuto 150 anni e il parco letterario a lei dedicato ne ha festeggiato 25. E’ stato infatti uno dei primi ad essere istituito, nel 1996, con sede a Galtellì, la Galte in cui è stato ambientato il romanzo più famoso della scrittrice nuorese, quello che più ha contribuito a conferirle la fama nazionale ed anche internazionale, e quindi l’assegnazione del Nobel nel 1926. Si tratta di Canne al vento, una frase del quale è riportata nella scultura del libro apposto sulla stele icona del parco:”Il sole obliquo fa scintillare tutta la pianura; ogni giunco ha un filo d’argento, da ogni cespuglio di euforbia sale un grido d’uccello; ed ecco il cono verde e bianco del Monte di Galte, solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il paese che pare composto dei soli ruderi dell’antica città romana”.

Il monte Tuttavista, con la sua forata “pedra istampata” che compare nella home page del sito web del parco letterario deleddiano, domina il paese e incombe sui destini dei personaggi, insieme alle rovine del castello della Baronia che, ormai ridotto a un cumulo di ruderi, “guarda il panorama melanconico roseo di sole nascente, la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore…”.

Il paessaggio sardo, descritto nei dettagli con i nomi precisi dei fiori e delle piante, è da molti critici considerato il vero protagonista del romanzo, testimone della sensibilità naturalistica e del realismo della scrittrice, ma anche della sua ispirazione lirica e del suo senso del mistero, quando la sera quella stessa natura si carica di mistero e di fantasmi, di folletti, di fate, di spiriti maligni e benigni, le “panas”, “le janas”,”l’ammattadore”…

Il protagonista “umano”, però, è il servo Efix a cui non a caso la Deledda fa spiegare il significato del titolo: “…siamo proprio come canne al vento, donna Ester mia. Ecco perchè! Siamo canne, e la sorte è il vento”

Fedele ai suoi padroni, sebbene morti, rimane a “servare”, cioè conservare il misero poderetto rimasto nell’impoverimento progressivo delle figlie del padrone, Ester, Ruth e Noemi, dopo la morte anche della più piccola, Lia, fuggita “nel continente”. Sarà anche l’artefice del matrimonio di Noemi con il ricco cugino don Predu, che assicurerà un futuro migliore alle sorelle rimaste in 2, dopo l’improvvisa morte anche di Ruth.

Il mondo che la Deledda ci restituisce, in questo e nei precedenti e successivi romanzi, tranne alcune eccezioni, è quello delle passioni primitive, degli istinti ferini, della violenza di una società fortemente gerarchizzata sul piano sociale ed economico, ancora paiarcale nei rapporti familiari. Quello della Barbagia. Ma è anche un mondo fortemente connotato da una profonda religiosità, percorsa da venature di misticismo e spesso anche dalla superstizione popolare.

Anche in Elias Portolu, il protagonista è pervaso da sentimenti religiosi che a volte si risolvono però in riti tradizionali esteriori, e come Efix è lacerato da continui sensi di colpa che la coscienza gli impone di espiare, autoinfliggendosi pene sproporzionate nei confronti dei fatti. E’ evidente l’influsso degli scrittori russi, in particolare di Dostoewskij, che la Deledda amò nella sua formazione da autodidatta.

Questi tratti ricorrono come topoi nei primi racconti e anche negli altri romanzi di ambientazione sarda: Cenere, L’edera, Nel deserto, Colombi e sparvieri, La madre, per citare solo i più noti. Si stemperano invece in quelli di ambientazione romana come Nostalgia, che presentano i segni dell’apertura dei suoi orizzonti culturali, visto che a Roma Cosima – quasi Grazia (come lei stessa intitolò con il suo terzo nome la sua quasi autobiografia postuma), frequentò circoli culturali a contatto con i più grandi intellettuali, dopo il matrimonio avvenuto nel 1900 con Palmiro Madesani, diventato suo agente letterario da ingegnere che era.

Ma non abbandonò mai l’interesse antropologico per la lingua sarda, lingua e non dialetto secondo molti studiosi, per le tradizioni popolari e il folklore della sua isola, a cui da ragazza aveva dedicato dei saggi, e per i canti di sos tenores, proclamati patrimonio immateriale dell’Umanità.

Purtroppo oggi l’unica donna italiana ad aver conseguito il Nobel per la letteratura “Per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita e della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”, è stata marginalizzata nei programmi e nei testi scolastici, sospesa tra la produzione regionalistica, veristica, e gli autori decadenti.