L’esotismo di Gauguin

L’esotismo di Gauguin

Oggi parliamo di Paul  Gauguin, l’amante dei mari del Sud, che nacque a Parigi nel 1848 per poi morire ad Atuana, nell’arcipelago delle isole Marchesi, nel 1903.

Egli dipinse con più volontà artistiche, muovendo da un certo accordo con gli impressionisti per proseguire poi con ispirazioni espressioniste ed anche simboliste fino ad approdare ad un “fauve” tutto suo, quello del ricercatore di un’autenticità primordiale, dell’uomo che si espone a vivere lo stesso tipo di esistenza che esalta nella sua opera, che ama l’ingenua armonia della vita selvaggia in antitesi con la cinica amoralità e corruzione del mondo civile, dell’Europa e della Francia in particolare.

Erano però radicate nel suo spirito enormi contraddizioni, come quella di cercare il primitivismo e nel contempo raccomandare al figlio di costruirsi un avvenire normale e borghese. Di vivere con gli indigeni del sud-America ma nel contempo studiare i colpi di scena che le sue scelte di vita avrebbero prodotto nella società  europea.

Ma Paul Gauguin non è di certo solo il “fauve” che ama Thaiti,  è piuttosto una preziosa medaglia dalle facce stupefacenti di cui la società a lui contemporanea non seppe afferrare completamente il valore, tanto da renderlo assetato di riconoscimento.  

Delle opere non pertinenti al periodo esotico mostriamo il “Ritratto di Madeleine Bernard” conservato presso il Muséè de Peinture et de Sculpture di Grenoble dove, come altrove, le decise tinte pastello colorano un volto dall’occhio vagamente esotico. Lo stile è a linea forte, senza troppi fronzoli e circoscrive una figura femminile alla cui espressione si affidano tante cose: la capacità di meditare ed uno sguardo indefinibile, come assorto in contrastanti pensieri. Madeleine era la “musa” di un gruppo di artisti, fra cui  un fratello della stessa, che, con Gauguin, formava la “comunità di pittori di Pont-Aven” nel 1888.  

Guardiamo ancora “Mimì col suo gatto”, una piccola tempera del 1890 che fa parte di una collezione  privata, e “La belle Angèle” del 1889 che è nel Musée d’Orsay a Parigi; le prendiamo come esemplari dell’ispirazione diversificata che si piega all’oggetto ed a quanto esso suscita in quel preciso istante e muta lo stile dell’artista assieme al suo sentire. Troviamo nella prima opera il tratto tenero e rotondo che disegna l’infanzia e la sua soavità, ma il vero incanto sta  nell’atteggiamento dell’animale che esprime sentimenti quasi umani. Dà una testatina alla bimba, della quale vediamo a bella posta solo il profilo, e chiude gli occhi in un messaggio di complicità, amicizia, tolleranza, forse, nei confronti dei giochi condivisi, mentre la coda si avvolge su di lei come in un abbraccio.

Dell’altro lavoro selezionato, si noti invece la stilizzazione distaccata, fredda, nonostante il titolo, dipinto nell’opera stessa, che sembra rimarcare l’aggettivo “belle”. La belle Angéle fa pensare più a una monaca bretone che ad un’avvenente fanciulla. E’ una sorta di medaglione inserito su uno sfondo non contestuale. Non c’è necessità di creare continuità di superfici, l’oggetto alla destra di Angèle, fuori del tondo che la circoscrive, è una cosa a sé, una libertà surreale.

Ci sembra opportuno ricordare ancora il credo assoluto su cui poggia l’arte moderna. Riportiamo, a proposito, le parole di un celebre articolo apparso nel 1891 sul “Mercure de France”: “… l’opera d’arte dovrà essere soggettiva poiché l’oggetto non sarà mai considerato in quanto tale, ma in quanto segno dell’idea, così come lo percepisce  il soggetto in quell’istante.”      

Passando ora alle opere per le quali è massimamente ricordato: chi di noi non ha presenti le indigene di Gauguin? Le sue thaitiane dalle fattezze  monumentali e tenere, dall’incarnato di miele dorato, accoccolate fra i verdi intensi di un paesaggio primitivo e innocente?

 Guardiamo la “Donna con mango”, conservata al Baltimore Museum di Baltimora e ancora, “Donne Thaitiane sulla spiaggia” che ritroviamo a Parigi, al “ Musée d’Orsay”. In entrambe le opere l’artista si lascia trasportare da impressioni di una bellezza e di una calma estatiche. E’ difficile afferrare il vero status dell’anima di Gauguin nell’isola da lui considerata come il Paradiso dove, poco lontano da Papeete, costruì da solo una capanna nella quale vivere con la sua donna, l’amante indigena la cui nudità, spesso ritratta, considera casta tanto quanto oscena quella esibita nel vecchio continente.

Abbiamo selezionato la “Donna con mango” perché ben rappresenta la bellezza  femminile di quella razza sudamericana. E’ vestita di un viola smagliante su sfondo giallo dorato. Oltre al frutto che ha in mano, il mango, un piccolo grappolo, come fosse un fiore fruttato pende alla sua destra a portare altro colore, per adornarla ulteriormente. Non c’è complicazione di sorta. Stile nitido, vagamente e  volutamente essenziale, coloratissimo.

Nella seconda opera (vd immagine in alto), due donne sono emblema di un destino semplice,  insito nello sguardo obliquo e fisso della figura di destra, che già della vita ha esperimentato il rude cammino e nell’innocenza sopita e fiorata della giovane, forse in attesa di un figlio (il movimento ambiguo della veste lo lascia pensare) appoggiata con fiducia, la mano sulla sabbia, gli occhi socchiusi a sognare forse di amore. Queste opere sono del 1891.

Strano che la gente del suo tempo volesse vedere in Gauguin, prima che l’ artista, l’ avventuriero e lo squattrinato a vita.. Sostanzialmente egli fu incompreso dalla sua epoca, eccezion fatta per un gruppo di artisti, tra i quali Cézanne, col quale ebbe uno straordinario rapporto di amore e odio. Furono essi a salvarlo, più d’una volta, dalle conseguenze del suo non comune modo di vivere. Ne è esempio ciò che avvenne quando, di ritorno da uno dei tanti viaggi nei mari del Sud, decise l’ esposizione delle sue opere thaitiane all’interno del suo appartamento parigino, stimando utile riempirlo di qualsiasi cosa avesse un richiamo al “ primitivo”,  all’ ”esotico”. E quella volta fu davvero un “flop” gigantesco!

Quanto alla sua vita strettamente familiare, anch’essa non fu delle più tranquille. Da Mette, la sua moglie danese,  che fu per lui anche modella, ebbe ben cinque figli, dalla concubina indigena ne ebbe un altro. Gli impegnativi andirivieni col Sud America e tutto il suo ménage furono un forte aggravio a quanto di  avverso gli arrivava dal mondo dell’arte. Dovette sopportare, in seguito, la perdita di due figli e l’insorgere della grave malattia che lo porterà alla morte a soli cinquantacinque anni.

Questo è Gauguin, uno dei più rappresentativi pittori moderni in tutte le sue opere,  inquietudini e contraddizioni!