L’amicizia nella Grecia classica

Oggi il termine ‘amicizia’ viene usato quando si chiede l’amicizia sui social e ci si mette in contatto telematico con persone che si conoscono appena o non si conoscono affatto; si scambiano foto e notizie e, magari, quando si incontrano si salutano appena. Se ci domandiamo cosa è veramente l’amicizia, troviamo tanti aforismi che ne esprimono il concetto, e in tutti si evidenzia il carattere di un legame affettivo, disinteressato, duraturo, qualcosa di così elevato da sembrare quasi irreale. I veri amici, infatti, si accettano per come sono, senza giudizi o pregiudizi, con i loro lati positivi e negativi; si sentono liberi di essere se stessi e non cercano di adeguare gli altri a sé; godono della reciproca fiducia quando condividono emozioni, sentimenti, esperienze.

L’amicizia come legame personale profondo esiste da sempre ed è stata oggetto della riflessione filosofica fin dalla più remota antichità. I greci usavano il termine φιλία per designare sia l’amicizia sia l’amore, ma amore con un significato diverso dal termine Ἒρως (che si riferisce più all’aspetto sessuale). Il termine φιλία è un legame spirituale, con un significato molto più ampio del conceto moderno di amicizia, che invece ha una connotazione univoca e prevalentemente individualistica.
Il concetto di amicizia si evolve attraverso i secoli: nei poemi omerici consiste nel cameratismo tra combattenti; nell’Iliade troviamo descritti alcuni esempi di amicizia come quella tra Oreste e Pilade o Achille e Patroclo, che giunge fino all’estremo sacrificio.

Nell’età classica si fronteggiano due diversi piani e due concezioni opposte dell’amicizia: quella inserita nella prospettiva politica di una democrazia in cui la vita privata è subordinata a quella pubblica, e quella della decadenza politica quando il cittadino non ha più alcuna funzione pubblica e ripiega nell’intimità della vita privata. La prima prospettiva è quella di Platone e di Aristotele, la seconda è sostenuta da Epicuro e dai suoi seguaci; ma anche dal poeta Teognide che, in un periodo di grande confusione politica, in cui tutte le relazioni, persino quelle familiari, si disgregano dando luogo a un clima di intollerabile insicurezza, pensa che solo l’amicizia possa fornire agli uomini protezione reciproca. L’Amicizia assume anche, come in Empedocle, la dimensione di una forza cosmica capace di unire gli elementi, in una perenne tensione ciclica di generazione e distruzione, in contraso con la forza disgregatrice della Contesa. Ma è intesa anche come elemento utilitaristico, per esempio da Senofonte, che considera un amico il bene più grande per un uomo in ogni condizione di vita, ma che varia come varia il prezzo degli schiavi, poichè si basa sul valore che ciascuno assegna a se stesso e sulla stima che ne possono avere gli amici.

Molto più articolata e profonda la posizione di Socrate, la cui concezione dell’amicizia è espressa sia da Senofone (I memorabili di Socrate) sia da Platone. Per Socrate la vera amicizia si basa sul valore degli uomini, non sul vantaggio materiale. È vero che gli uomini tendono sia all’amicizia sia alla discordia, ma, poiché essi hanno bisogno di collaborare con altri individui, prevale l’amicizia; e quando questa si crea lega gli uomini migliori, superando divergenze e contrarietà. In Socrate l’amicizia non è una teoria ma una pratica di vita: tutta la sua incessante ricerca si svolge nell’ambito di un rapporto amichevole fra lui e gli interlocutori. L’esigenza dell’amicizia inizialmente è il completamento della propria personalità, ma in seguito è necessario possedere la capacità di piacere a quelli che piacciono (Memorabili). Socrate considera l’amicizia non solo un legame tra singoli individui, bensì come la forma vera e propria di ogni rapporto produttivo tra gli uomini; essa va oltre l’ambito della vita privata in quanto costituisce il cemento indispensabile della collaborazione politica.

Sull’esempio di Socrate, che considerava i suoi interlocutori non scolari, ma amici, anche nell’Accademia platonica e nel Liceo aristotelico si usa il termine di amico per indicare l’allievo.
L’Accademia si basa sull’amicizia (φιλία), infatti tra maestro e discepoli esistono rapporti di associazione e convivenza (συνουσία, convivenza, compagnia) e gli amici si definiscono οι συνόντες (compagni), in quanto il rapporto personale è considerato necessario fondamento dell’insegnamento. Prima di Platone l’amicizia veniva ricondotta all’affinità dei caratteri o all’attrazione dei contrari, posta sul piano esteriore di comparazione delle caratteristiche individuali. Platone sposta il piano della ricerca a un livello spirituale, parlando di “ciò che prima è caro“, ossia del sommo valore-Idea che è il Bene unico e assoluto, perciò fonte di ogni rapporto amichevole; l’idea del Bene è il legame su cui si fonda la legge che rende unito e armonico il cosmo così come unisce e armonizza la società umana.
Per Platone l’amicizia è la forma essenziale della comunità umana, legame naturale e insieme rapporto etico. Egli affronta l’argomento nel Liside, dove l’amicizia viene vista come il fondamento della società, cioè della vita politica; in tal modo istituisce una filosofia della vita associata, anticipando Aristotele, che nell’Etica Nicomachea stabilisce un parallelismo tra le forme dell’amicizia e le forme istituzionali della polis. Nel Liside l’origine dell’amicizia è individuata in “ciò che prima è caro“, πρὦτον φιλον”: in virtù del primo, universale, oggetto dell’amore, si amano le cose particolari. Per Platone l’universale è ciò che è buono perciò il legame amicale può esistere solo tra coloro che sono buoni; ma ciò che è buono è anche giusto, dunque il legame tra le persone risponde a una legge che trascende la stessa natura umana e promana dal mondo (perfetto) delle Idee.

Tuttavia l’essere umano non è per natura orientato al bene e alla socialità, per questo è necessaria la scelta della vita virtuosa: la ricerca del piacere, la differenza di opinione, la rivalità, l’avidità di ricchezze, l’invidia, sono causa di conflitto; solo l’amicizia riesce a superare questi ostacoli e a legare gli uomini migliori. Ma l’amicizia per Platone non è solo un rapporto personale individuale, bensì viene inserita nel contesto della filosofia politica e legata strettamente alla concordia. L’uomo si qualifica come cittadino e la sua vita è inserita nel contesto della città “ben governata”; e se la comunità è “malata” il suo risanamento può partire solo da una comunità ristretta di persone concordi, unite da un legame etico e spirituale (filìa), un rapporto che costituisce la base della comunità umana.

La trattazione più completa e articolata dell’amicizia è dovuta ad Aristotele, che la considera un elemento essenziale nella vita della comunità, tanto che le dedica l’ottavo libro dell’Etica Nicomachea. L’etica studia l’attività dell’uomo e insieme la indirizza, infatti ne individua il fine ultimo, il bene supremo, che in una prospettiva eudemonistica è la felicità; questa però si raggiunge solo nell’ambito della comunità, ossia della vita politica. In tale ottica, etica e politica sono complementari: la prima attiene all’agire dell’uomo in quanto individuo, la seconda riguarda l’agire dell’uomo in quanto cittadino. Per Aristotele la vita umana non è concepibile al di fuori della società, infatti considera l’uomo “per natura un animale sociale”, e afferma che solo un dio o un bruto può vivere in solitudine. L’azione dell’uomo acquista significato nell’orizzonte della polis, la città include gli individui e ne domina la vita, ma nello stesso tempo li guida e li protegge; la dimensione politica è onnicomprensiva in quanto abbraccia tutto l’ambito delle forme spirituali umane. Il fine supremo dell’agire ha valore per se stesso e non è un bene trascendente, come per Platone, bensì un bene specificamente umano, la felicità. Il bene è lo stesso per il singolo e per la città, ma quello della città è superiore: “è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città”; la felicità si raggiunge solo mediante l’agire razionale, cioè mediante la pratica delle virtù, ma la pratica delle virtù comporta l’agire nell’ambito di una comunità, che costituisce l’orizzonte specifico dell’agire dell’uomo, orientandone la condotta verso il raggiungimento del bene. L’agire in vista del bene, più precisamente del bene assoluto, è l’azione virtuosa ossia l’azione guidata dalla ragione: solo così è possibile conseguire la felicità. Nell’ambito della polis la felicità è basata soprattutto sulla concordia, che è un aspetto dell’amicizia. Nell’Etica Nicomachea Aristotele afferma che l’amicizia “è una virtù o qualcosa che s’accompagna a una virtù; inoltre essa è necessarissima per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni“. L’amicizia è presente innanzi tutto nella famiglia, tra genitori e figli e tra fratelli, ma vi sono diverse specie di amicizia, in base ai motivi che ne sono alla base: il bene, l’utilità, il piacere. Quelle basate sull’utilità o sul piacere sono accidentali e si dissolvono facilmente, mentre solo la prima è l’amicizia perfetta, che è permanente anche se è rara, quella che si stabilisce “tra uomini buoni e simili per virtù: costoro, infatti, vogliono il bene l’uno dell’altro in modo simile”. L’amicizia è soprattutto il nesso che tiene insieme le città, tanto che i legislatori si preoccupano più di essa che della giustizia. La giustizia è la virtù pratica più importante, e il parallelismo istituito da Aristotele ci dà la misura sia del legame strettissimo tra etica e politica sia della preminenza dell’aspetto politico nella vita del cittadino. Leggiamo infatti: “sembra che … l’amicizia e la giustizia riguardino glistessi oggetti e risiedano nelle stesse cose e persone…. per natura, poi, la giustizia cresce insieme con l’amicizia … in ciascuna delle forme di governo sembra esservi amicizia nella misura in cui vi è anche giustizia”.
Questo discorso ha un senso nell’ambito di una polis democratica e autonoma, in cui i cittadini di pieno diritto partecipano alla vita pubblica.

Diversa situazione si presenta dopo la conquista e l’assoggettamento della Grecia, quando gli individui non partecipano più alla vita politica, ma sono ridotti al rango di sudditi; il funzionamento della vita pubblica dipende da una volontà estranea e lontana; privati della libertà e della capacità di autodeterminarsi, i greci ripiegano sulla soggettività e si chiudono entro l’orizzonte dell’individualismo (scettici, cinici). La ricerca della felicità non riguarda più la comunità, bensì il singolo individuo; nelle scuole filosofiche si afferma un soggettivismo etico, volto a rassicurare l’individuo e a indicargli un nuovo punto di riferimento, ecco perchè si punta alla ricerca di un’intima perfezione morale (stoicismo) o di una solidarietà fra uomini che perseguono lo stesso fine, al di fuori della politica (epicureismo).
Nell’epicureismo, infatti, si afferma uno stile di vita basato sul raporto personale e sulla comunanza di vita. Al Giardino, Kέπος, possono accedere individui di ogni ceto sociale, anche gli schiavi e le donne, e tutti sono avviati alla lettura e alla scrittura. Coloro che possono, versano 120 dracme per il sostentamento della comunità e per aiutare i bisognosi. Alla comunità politica Epicuro sostituisce la società degli amici, basata sul piacere di vivere insieme, condividendo la saggezza data dalla filosofia: “Animo nobile massimamente si concede a saggezza e amicizia: bene mortale l’una, l’altra immortale” (S. V. LXXVIII). Il Giardino si configura come una comunita di tipo alternativo, una comunità in cui non sorgono conflitti, ma che è aperta e animata da sentimenti di solidarietà sociale. Il criterio dell’utile reciproco è presente, ma non ne rappresenta il fine unico; l’amico, infatti, non è ricercato solo per l’utile, che deriva dal contraccambio di benefici, ma soprattutto perchè la base dell’amicizia è un sentimento basato sulla libertà di scelta e sulla spontaneità del sentimento, perciò l’amicizia è fonte di piacere, il bene “primo e connaturato“. “Di tutti i beni che la saggezza ci porge per la felicità di tutta la vita, sommo sopra ogni altro è l’acquisto dell’amicizia” (M. C. XXVII).

I discepoli di Epicuro sono legati dall’amicizia e sono dediti alla conoscenza e alla pratica degli insegnamenti del maestro. L’atteggiamento di ciascuno verso gli altri è la misura del valore morale; il superamento dell’egoismo e dell’edonismo materialistico è dato dalla serenità che produce la ricerca della felicità (sommo bene), e l’amicizia è il maggior contributo per raggiungerla. La presenza di un amico può essere un aiuto nel bisogno, ma soprattutto infonde sicurezza e affetto, allontanado la possibilità dell’isolamento e dello smarrimento. In quanto rapporto morale, l’amicizia è reciprocità e anche sacrificio per l’amico. “Non più soffre il saggio posto alla tortura, che se vi sia posto l’amico, [e per lui è pronto a morire; perchè se tradirà] l’amico, tutta la sua vita per l’inquietudine sarà sconvolta e sovvertita“. (S. V. LVI-LVII)

S. V. : Sentenze Vaticane
M. C. : Massime Capitali