Intervista a Rob Claes*

Intervista a Rob Claes*

Grimbergen, agosto 2023 
G.P.D.N. Ci può spiegare l’iniziativa che occupa la sua vita attuale?

R.C. Da due anni mi sono impegnato in una impresa sociale chiamata “Den Diepen Boomgaard” (https://www.diepenboomgaard.be/) presso  Bruxelles. Vi  lavorano una sessantina di persone, provenienti da orizzonti diversi, con la caratteristica comune di trovare grandi ostacoli all’inserimento nel mondo del lavoro, o almeno dei lavori cosiddetti “normali”.  Lo scopo principale dell’impresa è di offrire a queste persone dei lavori adattati alla loro capacità, per alcuni per un periodo determinato, per altri a lungo termine. Viene corrisposto ad esse uno stipendio più o meno normale, di cui una parte sovvenzionato da enti esterni. Oltre al lavoro, ciascun membro della comunità viene seguito da un coach che svolge regolari colloqui e assicura un accompagnamento di sostegno per i problemi personali o amministrativi. L’impresa è una associazione senza scopo di lucro, benché ovviamente abbia una amministrazione economica come tutte le imprese. Si gioca sempre al limite tra la tensione amorevole alla solidarietà (scopo principale) e i margini economici. Le attività comprendono la cura di un orto biologico con annesso un negozio, la manutenzione di parchi e luoghi pubblici di proprietà del comune, una cucina che lavora i prodotti da vendere e prepara i pasti per alcune imprese. Una specificità dell’orto è il legame con le famiglie dei dintorni, che fanno un abbonamento annuale e ricevono una carta con la quale, entro certi limiti, ricevono la possibilità di raccogliere direttamente i prodotti dei campi. Questo crea anche una buona interazione tra le famiglie e i lavoratori dell’azienda, aiutandoli a sentirsi lavoratori “normali” e quindi ad acquisire una maggiore dignità umana e civile. Da due anni lavoro in un regime di volontariato che mi impegna nelle costruzioni e in diverse problematiche tecniche. Al contempo, data la mia formazione cristiana, desidererei essere anche ‘lievito nella pasta’.

G.P.D.N. Quando e come ha avuto l’idea di impegnarsi in questa avventura?

R.C. Ho vissuto per più di 40 anni in una comunità cattolica con vari impegni e responsabilità. Con l’andare degli anni ho avvertito un certo disagio di fondo, forse per essere rimasto troppo tempo ‘nella stessa minestra’, oppure per un bisogno personale di andare tra la gente, di vivere con e per le persone attorno, di vivere nel sociale. Si trattava di una crisi personale che non voleva affatto mettere in questione l’organizzazione di cui facevo parte e della quale tutt’ora continuo a sentirmi ed essere parte, ma che intendeva viverla in modo diverso e più personale. In accordo con i miei responsabili, mi sono dunque impegnato più direttamente nel sociale. Dapprima  ho lavorato in un centro d’accompagnamento a Bruxelles, che a causa della pandemia aveva dovuto interrompere le attività di gruppo. Ne ho cercato dunque un altro e mi sono “per caso” imbattuto nel progetto “Den Diepen Boomgaard”. Mi sono subito entusiasmato condividendo lo scopo principale solidale-assistenziale oltre che l’aspetto biologico e l’amore per la natura a cui sono stato molto sensibile sin dalla mia infanzia. Posso dire che è stato veramente provvidenziale per la mia vita conoscere e potere impegnarmi in questa iniziativa.

G.P.D.N. Si tratta di una iniziativa a carattere religioso o puramente sociale-assistenziale?

R.C. Direi prima di tutto, con papa Francesco, che i cristiani debbono darsi da fare per costruire il Regno di Cieli sulla terra e quindi nel mio caso l’iniziativa è fondamentalmente religiosa, ma per quel che conosco nessuno degli animatori si proclamerebbe ispirato dal Vangelo. Tuttavia il modo in cui si cerca di vivere ha evidenti caratteristiche evangeliche che ci accomunano. Ufficialmente è una iniziativa puramente sociale-assistenziale, in quanto parte del gruppo delle numerose iniziative che sono nate dall’ordine religioso “Frati della Carità” (https://brothersofcharity.org/) in Belgio.

G.P.D.N. Come rispondono gli abitanti del posto?

R.C. Per il fatto che un centinaio di famiglie ha l’abbonamento e dunque raccoglie periodicamente i prodotti dei campi, si crea una buona interazione soprattutto a beneficio dei lavoratori. Attualmente stiamo costruendo un nuovo edificio in cui si potrà trovare una caffetteria, accanto al negozio, il che faciliterà la socializzazione. Abbiamo in animo anche un’altra iniziativa: trasformare il frutteto in un giardino di convivenza con un piccolo parco giochi per bambini, delle panchine eccetera. Ci sono inoltre alcune imprese esterne che vengono da noi per fare “teambuilding”, lavorando nell’orto. Offriamo anche programmi educativi per le scuole e workshops per bambini durante l’estate. 

G.P.D.N. Che ruolo gioca l’amore per la natura e l’ecologia?

R.C. Un ruolo molto importante perché sono convinto che la salute mentale passa per la natura, oltre al fatto che mi sento personalmente responsabile del futuro della nostra pianeta. Sono anche ‘Guida alla natura’ e quando accompagno dei ragazzi sottolineo sempre che l’ecologia è soprattutto un insieme di relazioni: nella natura tutto è collegato e così tra le persone. Approfitto per ricordare alle ragazze e ai ragazzi che “anche in classe ci sono tanti intrecci di rapporti che hanno una influenza sull’atmosfera della classe”.

G.P.D.N. Cosa le ha dato la forza di indirizzare la sua vita in modo diverso da come l’aveva impostata precedentemente?

R.C. Ho avuto la fortuna di essere sempre aperto a captare e dare il giusto valore a ciò che sentivo dentro, in fondo al cuore. In questa mia ricerca mi sono confrontato e ho riscontrato una grande comprensione da parte dei responsabili. Quindi il cambiamento di rotta l’ho vissuto in pieno accordo con essi e come una logica conseguenza della mia inclinazione. Quello che è stato più difficile è stato comunicarlo a tutta la comunità: svolgevo un ruolo molto visibile e cambiare rotta senza grandi spiegazioni lasciava ovviamente degli interrogativi. In fondo dovevo io stesso prima capire cosa stavo vivendo; era seguire una intuizione più profonda che io stesso trovavo difficile esprimere. Grazie ai contatti personali con amici che mi hanno ascoltato, capito e rispettato, ho potuto trovare un nuovo equilibrio anche nei confronti della mia prima comunità e dunque ristabilire i legami in modo nuovo e attivo. 

G.P.D.N. Come è possibile finanziare un’impresa di questo genere?

R.C. L’impegno e la motivazione del personale sono fattori decisivi per la sopravvivenza. Come ho già detto, si tratta di una impresa sociale che ha delle sovvenzioni dalle istituzioni, ma insufficienti. Questo tipo di impresa a mio avviso può funzionare solo se ci sono persone convinte del progetto e che mettono in gioco questo indispensabile valore aggiunto.

G.P.D.N. Si può dire che l’obiettivo è di recuperare giovani con qualche disagio inserendoli nel lavoro e dunque nella cittadinanza attiva?

R.C. Sì, ma non si tratta solamente di giovani, gli operai sono di tutte le generazioni. Il lavoro permette loro di uscire di casa, di avere dei contatti sociali e di sentirsi cittadini dignitosi. Inoltre avere un lavoro con degli orari stabiliti struttura il tempo della giornata, il che aiuta ad essere attivi anche fuori dell’impresa. Senza questa possibilità offerta a chi è per varie ragioni nel disagio sociale, si creerebbero più problemi e e aumenterebbero i costi sociali.  

G.P.D.N. Ha in mente qualche storia particolare?

R.C. Non tanto singole storie, ma le piccole conquiste di persone spente o chiuse su se stesse che pian piano incominciano a guardarsi attorno, a dare attenzione agli altri, a salutare e aprirsi alla comunicazione. A volte le persone che cominciano a lavorare da noi fanno difficoltà ad  accettare un lavoro “di seconda mano”, ma pian piano si sentono valorizzate e compensate dal clima di amicizia. 

G.P.D.N. Si considera soddisfatto  della sua vita e consiglierebbe ad altri giovani lo stesso impegno?

R.C. Sì, sono molto soddisfatto del corso che la mia vita ha preso, anche se non nascondo che ogni tanto ho dei dubbi, specie quando sopravvengono inevitabili difficoltà. Cerco sempre di capire e mettermi in sintonia con il progetto di Dio su di me e su quest’opera che si sta sviluppando. Mi do semplicemente la risposta “Ama e capirai” come diceva una canzone dei primi tempi del Gen Rosso. Cosa consiglierei ad altri? Consiglierei non solo ai giovani di non mettersi in poltrona ma di attivarsi e accontentarsi delle piccole cose che la vita offre a tutti. Ognuno ha da realizzare un progetto e crescere, anche se va in pensione. Gesù ha detto ai suoi discepoli che avrebbero potuto fare cose più grandi di lui. Li ha lanciati in una vocazione più grande dell’uomo che vale per tutta la vita, ovviamente in modo diverso se si è giovani, adulti o anziani, ma nella stessa direzione: contribuire in modo personale e unico a costruire il Regno di Dio sulla terra.   

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