Cinismo e forza. Si torna a Machiavelli

L’analista in ambito geopolitico deve conservare un sano distacco, il quale però in alcuni casi può sembrare cinismo, inteso nel significato letterale del termine, ovvero “indifferenza ai sentimenti e alla morale comune”. Temendo di essere di parte non si sta da nessuna parte e si aspetta di vedere chi vincerà. Come non dire la propria rispetto alle sanzioni imposte alla Russia che oggi si dimostrano decisamente morbide e inefficaci? Pensiamo anche all’Ucraina abbandonata a se stessa nonostante l’insistente e inascoltata richiesta di nuove armi. Molti purtroppo preferiscono tacere, come fecero nel 1938 di fronte al
patto Patto Molotov- Ribbentrop che dava il via libera ai tedeschi per occupare la Polonia.

Dagli esiti della guerra dell’Ucraina, qualunque cosa accada, si capirà se la Russia dovrà essere ancora affrontata militarmente oppure lasciata libera di agire. La domanda che tutti si pongono, palesemente o nascostamente invasi dalla paura, è se Putin, come Hitler o Napoleone intenda proseguire le sue conquiste e spingersi in tutta l’Europa. Il presidente russo dimostra di far sua la convinzione di Machiavelli in Il Principe; parafrasando: “È meglio per un principe essere temuto che amato. La condizione ideale è quella di essere ad un tempo amato e temuto, ma se non è possibile avere le due cose insieme è da
preferire l’essere temuto”.

Continuando a seguire Machiavelli: «Molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero. […] Mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione di essa». Pare che trionfi il “volto demoniaco” della hubris, una sorta di logica del Potere per il potere, che riduce gli attori politici alle scelte comportamentali dettate dalle convenienze, nella totale indifferenza rispetto ai principi etici e giuridici. “L’apparire” diventa determinante per il principe, che se vuole vincere dev’essere volpe e lione, esperto in inganni e tradimenti, come vuole la massima – di controversa attribuzione – secondo la quale “il fine giustifica i mezzi”.

La pratica della circonvenzione, teorizzata e finalizzata da tutti i dittatori per ottenere il consenso, subisce un crescendo a partire dalla seconda metà del ‘900 fino ai giorni nostri, quando si eleva all’ennesima potenza grazie all’uso sfrenato
delle nuove tecnologie digitali. Si utilizza il criterio proprio del metodo informatico per trovare il punto debole di un sistema e sfruttarlo attraverso la propaganda.
In condizioni di pace, un principe non dovrebbe essere odiato, anzi dovrebbe rendere il popolo soddisfatto e attirarne la benevolenza, ma sarebbe inetto se non tenesse sempre alta l’attenzione agli attacchi che potrebbero venire
dall’esterno o dall’interno al suo potere. Quanto ai primi, egli «si difende con le buone arme e con li buoni amici; e sempre se arà buone arme, arà buoni amici; e sempre saranno ferme le cose di drento, quando stiano ferme quelle di fuora.
Ma, circa sudditi, quando le cose di fuora non muovino, si ha a temere che non coniurino secretamente: di che el principe si assicura assai, fuggendo lo essere odiato o disprezzato, e tenendosi el populo satisfatto di lui; il che è necessario
conseguire, come di sopra a lungo si disse».

Certamente Putin conosce il pensiero machiavellico , il quale concludeva: “il non essere odiati dal popolo aiuta a conservare il principato più delle stesse fortezze militari”. Putin infatti ha applicato la regola machiavellica: «un principe deve alternare bontà e cinismo, astuzia e fermezza, istintività animalesca del leone e astuzia della volpe poiché l’obiettivo di un sovrano non è essere giusto, ma mantenere il regno». Vale l’esempio di Ierone di Siracusa che, divenuto capo degli eserciti a Siracusa: «conobbe quella milizia mercenaria non essere utile… e parendoli non li potere tenere né lasciare, li fece tutti tagliare a pezzi: e di poi fece guerra con le arme sua, e non con le aliene… le arme d’altri, o le ti caggiono di dosso (sono larghe), o le ti pesano, o le ti stringono».
Similmente un anno fa Putin si affidò alla Wagner e al suo capo per vincere alcuni tra gli scontri più cruenti combattuti in Ucraina. Ex post, visti gli esiti dell’alleanza, probabilmente allora sopravvalutò la lealtà del “cuoco del Cremlino” e parallelamente ne sottovalutò le ambizioni, decisamente accresciute dalle vittorie sul campo, ottenute dando prova
di feroce determinazione, a fronte degli insuccessi, delle ingenti perdite e delle inefficienze delle forze regolari russe. Sta di fatto che Prigogin, ringalluzzito dai successi, si è sentito in dovere di criticare apertamente, a più riprese, i vertici militari della Federazione russa e di denigrare i metodi con cui la guerra veniva condotta, ossia la strategia, inefficace al raggiungimento degli obbiettivi dichiarati. 

Come è per la guerra Russia – Ucraina, ma con tinte diverse, è per la guerra Israele-Palestina-Iran dal punto di vista della logica della forza. Hamas il 7 ottobre fa una strage e prende ostaggi innocenti. Israele risponde con la tragica vicenda di Gaza e 35000 morti palestinesi. Successivamente Israele colpisce l’ambasciata in Siria dell’Iran facendo una ‘operazione chirurgica’
contro i pasdaran. L’Iran, da sempre dichiaratamente intenzionato a distruggere lo Stato di Israele, ha bisogno di far vedere i muscoli al suo popolo e ad Israele, colpendolo direttamente sui suoi territori. Ora aspettiamo la risposta annunciata
da Israele. Fin dove si arriverà? Ad ognuno dei contendenti interessa rivendicare forza e deterrenza, senza alcun riguardo alle popolazioni civili che ne patiscono le conseguenze.
Sullo sfondo c’è un conflitto pluriennale in cui le parti, impegnate ad affermare la propria potenza, danno sfogo alla ferocia, che le rende insensibili alle proteste, alle piazze, alle vite troncate, alla famiglie distrutte.
Per questa via la pace è una chimera, dato che non c’è chi comincia a rinunciare alla vendetta, aprendo forse la strada ad una attenuazione dell’astio pregiudiziale di popoli secolarmente e pregiudizialmente nemici. Di fatto, mentre a suo modo l’equilibrio del terrore riuscì a funzionare, attualmente ci troviamo di fronte a una fase di violenza crescente e incontrollabile parallela all’aumento delle disuguaglianze che in un’epoca di globalizzazione generano la violenza e la guerra di tutti contro tutti. All’equilibrio del terrore non succede una pace perpetua, ma una generalizzata e permanente conflittualità.