BENEDETTO CROCE INTELLETTUALE E POLITICO

BENEDETTO CROCE INTELLETTUALE E POLITICO

Croce ha occupato un posto centrale nella cultura italiana per tutta la prima metà del ‘900, sul piano letterario e filosofico, senza contare il prestigio e la stima di cui godeva all’estero soprattutto nell’area anglosassone; anzi possiamo dire che con la sua instancabile attività di studioso e i suoi scritti, in particolare con la rivista La critica, ha contribuito ad aprire il dibattito culturale italiano alle correnti filosofiche e letterarie europee. Sul piano politico, nel periodo fascista proprio tale prestigio gli ha consentito di porsi come il punto di riferimento di quanti non accettavano la politica del regime. Oggi, dopo aver dominato la scena culturale italiana per un cinquantennio, sembra quasi dimenticato, ma leggendo i suoi scritti si scopre una miniera di riflessioni e di spunti, che meriterebbero nuova attenzione.

Benedetto Croce nasce il 25 febbraio 1866 a Pescasseroli e la sua formazione avviene negli anni ’80/’90 dell’800, il periodo della cosiddetta seconda rivoluzione industriale, quando in quasi tutti i Paesi europei procede a grandi passi l’industrializzazione, con la conseguente crescita dei fermenti sociali dovuti all’avanzare della classe operaia; legata a questo fenomeno si sviluppa l’azione politica dei gruppi socialisti, prima dei cosiddetti “socialisti utopisti” e poi dei partiti ispirati al
pensiero marxista; il clima culturale è dominato dal positivismo, anche se sono presenti altre tendenze e sorgono nuovi fermenti letterari e filosofici. Anche in Italia si sviluppano elementi innovativi: sul piano politico la “Destra storica” cede il passo alla Sinistra di Depretis, di Crispi e poi di Giolitti, mentre inizia un timido processo di industrializzazione; sul piano culturale accanto alle nuove correnti letterarie, si diffonde il pensiero socialista ad opera di Labriola; ma soprattutto si
riscopre il pensiero hegeliano (con Augusto Vera, Bertrando Spaventa e Giovanni Gentile) e Napoli diventa il centro di una rinnovata riflessione sull’idealismo.

Il padre Pasquale era un ricco proprietario terriero, cugino dei fratelli Spaventa, ma con questi in pessimi rapporti a causa delle sue idee estremamente conservatrici. Benedetto studia a Napoli dai Barnabiti e si appassiona alla letteratura, dedicandosi in particolare alla lettura di De Sanctis e Carducci. La sua vita subisce una svolta radicale nel 1883, quando la sua famiglia viene coinvolta nel violentissimo terremoto di Casamicciola; nel disastro muoiono i genitori e una sorella e il
giovane Benedetto, non ancora maggiorenne, viene accolto nella casa di Silvio Spaventa. Si stabilisce così a Roma, dove trova un ambiente molto vivace sia sotto il profilo culturale sia sotto quello politico, e conosce Antonio Labriola che lo spinge ad avvicinarsi al pensiero socialista.
Nel 1886 torna a Napoli e si dedica agli studi (studi personali, poiché si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, ma senza conseguire la laurea) e ai viaggi; infatti sistemati i suoi possedimenti, che gli consentono di vivere agiatamente, compie una serie di viaggi all’estero: in Francia, Germania, Spagna e Inghilterra, entrando in contatto con i maggiori centri culturali europei, e da allora si dedica esclusivamente allo studio della letteratura e della storia.
Tornato in Italia riscopre il pensiero di Vico e si dedica all’approfondimento della Scienza Nuova, che rappresenta un punto di partenza importante per l’elaborazione della sua concezione della storia.
Negli stessi anni, continua ad approfondire il pensiero di Marx, cui lo aveva avviato Labriola, nella cui concezione della prassi vede realizzata la concretezza di analisi, che mancava al positivismo.

La riflessione sul marxismo e l’incontro con Gentile (1896) lo avvicinano a Hegel, che diventa il suo principale punto di riferimento, anche se ben presto assume verso il filosofo tedesco un atteggiamento critico, per la sua concezione dello Spirito e per la posizione assegnata alla storia nell’ambito del sistema hegeliano. L’avvicinamento a Hegel lo porta alla teorizzazione dei concetti scientifici come “pseudoconcetti”, attinenti all’attività pratica (economica) e non a quella teoretica.
Questo se da un lato costituisce in parte una svalutazione della scienza, dall’altro consente alla scienza di mantenersi indipendente nel procedere della sua ricerca. Del resto tutto il neoidealismo, sulla scia di Hegel, svaluta la ricerca scientifica, considerando vera scienza solo la filosofia.

L’amicizia con Gentile e il comune interesse per la letteratura si concretizzano nella collaborazione alla rivista La Critica (1903). Nel primo decennio del ‘900, caratterizzato da fermenti e aspirazioni verso il nuovo, nascono diverse riviste che si pongono come sedi privilegiate del dibattito culturale del tempo (ricordiamo fra le altre: Leonardo, Hermes, La Voce). La Critica è la più duratura (cessa le pubblicazioni nel 1944) e rimane sempre fedele al suo assunto programmatico; tramite essa il neoidealismo conquista vasti settori della cultura italiana, anche perché risponde alle esigenze e alle aspettative del ceto
intellettuale e dà loro una risposta organica e razionale. Il dibattito sostenuto dalla rivista e la notevole produzione di saggi filosofici e letterari suscitano intorno al filosofo interesse e adesione di collaboratori e discepoli; così – pur tra differenze e dissensi – Croce si pone come figura egemone nel panorama culturale italiano (e non solo) della prima metà del ventesimo secolo.

Nello stesso periodo inizia la collaborazione con la casa editrice Laterza, per la quale cura la pubblicazione della collana I classici della filosofia moderna, la cui prima pubblicazione è l’Enciclopedia delle scienze filosofiche di Hegel, tradotta da lui stesso.
Croce si affaccia alla vita politica quando, nel 1910, è nominato senatore nel gruppo liberale (in base al censo); mantiene la carica anche nel periodo fascista, ma nel corso del ventennio non partecipa alle sedute. Nel 1914, quando divampa il dibattito sull’intervento o meno nella guerra, assume posizioni neutraliste e rimane sempre convinto sostenitore della pace. Nell’ultimo governo Giolitti (1920/21) ricopre il ruolo di ministro della Pubblica Istruzione e getta le basi della riforma della scuola, poi completata e perfezionata da Gentile nel ’23. Croce in campo politico sostiene la posizione di un liberalismo ideale (e idealizzato), che assume venature morali; nel 1924 è uno dei fondatori del Partito Liberale (e dopo la fine della guerra
collabora alla riorganizzazione del partito, diventandone presidente).
Quando, nel 1922, sale al potere il fascismo, Croce ha un atteggiamento tollerante, considerandolo un “movimento dialettico di rinnovamento della vita politica italiana”, e accorda fiducia al governo di Mussolini con un voto “prudente e patriottico”. Ma allorché il 10 giugno ’24 viene rapito Giacomo Matteotti (ritrovato morto il 16 agosto), egli prende coscienza della reale portata del nuovo corso politico e diventa oppositore convinto del fascismo; il 25 agosto scrive una ferma condanna del fascismo.

In seguito Croce pur mantenendo sempre un atteggiamento di ferma opposizione al fascismo, non subisce persecuzioni o pressioni, a causa del prestigio e della notorietà di cui gode in Italia e all’estero. La sua casa diventa ritrovo di molti giovani lontani dal fascismo, tutti schedati e sorvegliati dall’OVRA, e lo stesso Croce è (discretamente) sorvegliato anche nei suoi spostamenti. Se il delitto Matteotti allontana Croce definitivamente dal fascismo, la pubblicazione del “Manifesto degli intellettuali fascisti” segna la fine dell’amicizia con Giovanni Gentile, divenuto ormai l’ideologo ufficiale del partito di Mussolini. A quella autoesaltazione intellettuale del fascismo risponde, su invito di Giovanni Amendola, con il “Manifesto degli intellettuali antifascisti”.
In questo Manifesto Croce denuncia la confusione dottrinale del Manifesto gentiliano e contesta l’affermazione secondo cui la lotta tra fascisti e antifascisti sia una “guerra di religione”; soprattutto stigmatizza l’affermazione che il fascismo è una minoranza, una élite rivoluzionaria, come fu minoranza il Risorgimento; anzi proprio questo è stata, secondo Croce, la debolezza della costituzione civile e politica dello Stato unitario.

Negli anni tra le due guerre Croce continua a coltivare i suoi studi, dando alle stampe alcune opere fondamentali, come La Storia d’Italia, La Storia d’Europa, La storia come pensiero e come azione, numerosi saggi di politica e morale, oltre alla elaborazione del suo pensiero in campo letterario.
Nel 1944 dopo la “svolta di Salerno”, entra a far parte del governo provvisorio e nel 1946 è eletto membro dell’Assemblea Costituente; nel ’48 è eletto senatore nelle file del PLI, ma si ritira ben presto dalla politica per dedicarsi esclusivamente ai suoi studi. Nel 1947 fonda l’Istituto di Studi Storici, cui lascia parte del suo palazzo (Palazzo Filomarino) e la sua ricchissima biblioteca.

Si spegne a Napoli il 20 novembre 1952.